di Gianvito Pipitone –
Donald Trump è la perfetta nemesi dei Democratici americani. Rappresenta la vendetta simmetrica contro quel progressismo moralista e bacchettone di sinistra che, aspirando a dipingersi bello, buono e giusto, ha finito per dare vita all’inevitabile: un Mostro ingombrante e spaventoso, dalle sembianze di un vecchio babbione con una banana piantata in testa.
Se ne facciano una ragione le anime pure e caste, vedove del political correct, sparse in giro per il mondo che, all’indomani del tracollo del partito democratico alle recenti elezioni presidenziali americane, hanno gridato alla catastrofe in uno scenario da cupio dissolvi collettivo. No, il mondo verosimilmente non finirà nemmeno a sto giro. Ma certo, l’impressione è più che mai quella di essere sempre e costantemente in ritardo per l’immancabile appuntamento con l’estinzione dell’essere umano sulla terra. Questione di qualche altro secolo ancora…
Senza troppi giri di parole, c’è da essere incazzati neri con questa sinistra americana alla deriva. E non ci sono giustificazioni che tengono. L’intellighenzia di sinistra, della cui linea, Jo Biden e Kamala Harris sono i primi e veri responsabili, dovrà ora rispondere del proprio operato non solo di fronte all’elettorato dei moderati americani ma anche davanti a chi, nel mondo occidentale, ha ancora a cuore le sorti della democrazia.
Le responsabilità sono tutte lì sul tavolo, non ultima quella di aver consegnato le sorti del mondo al nemico repubblicano più radicale di sempre, in uno dei periodi storici più difficili e complicati dalla seconda guerra mondiale ad oggi. Un nemico che non ha fatto mai mistero del suo programma estremista e massimalista: pugno duro contro aborto e immigrazione irregolare, lager, purghe e deportazioni per i clandestini, smantellamento di quello che rimane dello stato sociale, revoca delle misure rivolte alla protezione del clima e dell’ ambiente, protezionismo e isolazionismo in campo economico, militarismo strisciante, sfoggio delle armi (pubbliche e private), smantellamento dell’alleanza atlantica (Nato) e riposizionamento strategico sui conflitti in corso (Ucraina e Medio Oriente), soppressione dei movimenti sociali di chiara matrice di opposizione… E chi più ne ha più ne metta.
E questo sembra solo l’ aperitivo, tenendo conto di come la propaganda non esattamente conciliante di Trump porterà (quasi sicuramente) ad inasprire in maniera drammatica i conflitti con l’altra metà degli americani contrari alla linea, rischiando di innescare una vera e propria guerra civile. Con conseguenze socio culturali anche nel resto dei paesi occidentali. Davvero niente male come regalino sotto l’albero di natale per st’anno…
Di fronte a tutto ciò, una certezza assoluta da cui partire per analizzare la situazione: il partito democratico ha cannato intanto drammaticamente la campagna elettorale. Qualcuno ha sottolineato, giustamente, che da una parte e dall’altra l’argomento principale del confronto è stato sempre e solo “Donald Trump”: i repubblicani per beatificarlo; i democratici per condannarlo. E le istanze del partito democratico ? Che fine hanno fatto ? Non pervenute, pare. Il pensiero politico democratico è, come dire, rimasto con il colpo in canna. O se si vuole, è rimasto nel limbo, in un insoddisfacente e perentorio stato di coitus interruptus.
Non c’è bisogno di scomodare la filosofia. Basta essere un filo realisti. La politica è dinamismo, contraddizione, contrasto, diversità, opposizione e conflitto. Ebbene, i democratici per tutta ripicca hanno scelto di non affrontare i temi dalla prospettiva che gli competeva. Un po’ perché non avevano molto da dire: “tempesta di cervelli” verrebbe da dire citando Homer Simpson. Un po’ per non fare arrabbiare gli amichetti delle lobby. Un po’ per convenienza, perché, diciamocelo: se avessero anche solo tirato in ballo un paio di temi della sinistra verace, avrebbero racimolato appenala metà dei voti che hanno raggranellato. E quindi, alla fine della fiera, per Kamala Harris la strategia dell’opossum è sembrata la più adatta alla bisogna, visto che si sposava perfettamente con il suo mood.
Peccato ancora una volta che chi si ostina a vivere in una bolla, in perfetta contemplazione del sé, beandosi dei propri principi, delle proprie convinzioni, affrettandosi ogni volta a puntare il dito verso gli altri (gli elettori cattivi, ignoranti, fascisti, neonazisti) non solo danneggia la collettività privandola degli argomenti necessari all’agone politico, ma contribuisce alla legittimazione di quel Mostroche finisce inevitabilmente per dilaniarlo a brandelli.
La finta sinistra che da oltre un decennio va in scena nell’immaginario collettivo, spinta a forza dai maitres a penser d’oltre oceano, attenti più che altro a incassare i trionfi del proprio solipsismo, ha finito così per mandare al macello i concetti basilari che dovrebbero animare le forze alternative contro quelle conservatrici: la giustizia sociale, la giusta distribuzione della ricchezza, il lavoro equo, la giusta retribuzione, l’innalzamento degli standard culturali. Per tutti e non solo per una parte. Oltre alla pletora di diritti umani e civili che da sempre accompagnano il pensiero progressista e liberale.
Peccato (ancora una volta!) che nessuno di questi temi abbia risuonato durante i comizi di quella che qualcuno ha definito, la campagna elettorale più triste ed imbarazzante messa suda un partito democratico americano. Al contrario, invece, nelle declinazioni in cui si è manifestata, questa finta sinistra non ha nascosto il suo naturale penchant verso l’ oligarchia (la nomina per imposizione divina della Harris, senza il passaggio democratico delle primarie), l’insopportabile presunzione dell’esclusiva culturale con la militarizzazione sul campo di Università, Magistratura e … Hollywood.
E veniamo al tallone d’Achille di questa strategia fallimentare. La sinistra democratica americana ha scambiato forse il concetto di “inclusione” per uno dei tanti sinonimi di “politica” tout court. Avrà confuso, come spesso capita, la parte per il tutto. Non può essere altrimenti… Ecco perché ha finito per legare i propri destini alla strenua difesa di quei diritti inalienabili di tutti e per tutti (lgbtq+plus, diritti sacrosanti, per altro), imbastendo a protezione di questa idea un rigidissimo codice di comportamento e di espressione che va sotto il nome (ormai famigerato) di Political Correct. O stupidamente corretto. O meglio: Follemente corretto. Quest’ultima: citazione del titolo di un libro di Luca Ricolfi, recentissimo, che consiglio a tutti quelli di sinistra di correre a leggere. Prima di ieri. Per non avere più dubbi al riguardo.
L’altro albero a cui questa fantomatica sinistra è corsa inspiegabilmente ad impiccarsi, senza avere un briciolo di pietà per sé stessa, è quello che la vede impegnata sul versante della storia: “Occidente uguale Suprematismo Bianco”, con il corollario incomprensibile, ai limiti del patologico, del senso di colpa dell’uomo bianco che, in quanto tale, bianco(ripeto), accetta, come un novello Cristo, di farsi carico e di assumere su di sé tutte le colpe di un passato coloniale, fatto di violenza e sopruso nei confronti principalmente dell’uomo nero e dei latinos, oltre che dei nativi pellerossa americani… Insomma, il tema della riscoperta del mito del Buon Selvaggio di Rousseau. No, gli irlandesi e gli italiani, non pervenuti nella lista delle protezioni speciali: non abbastanza neri, né troppo selvaggi. Per quanto forse…
Si è cominciato quasi in sordina, qualche anno fa, con la rimozione coatta delle statue in piazze del bianco conquistador Cristoforo Colombo, si è continuato con la predicazione urbi et orbi dei capisaldi della cultura “woke” estremista e divisiva che, piuttosto che creare inclusività, come da protocollo, ha contribuito invece a scavare un solco incolmabile fra le due anime dell’essere americano.
Cito pari pari da un maestro del giornalismo italiano, di cultura di sinistra e profondo conoscitore delle cose americane, Federico Rampini in “Grazie! Occidente”:
“Nel clima di appiattimento culturale, di conformismo e di indottrinamento che domina tante scuole e università, l’Occidente subisce un processo costante a senso unico, è l’imputato messo alla sbarra per avere soggiogato e impoverito le altre civiltà”. Il tutto, fa notare l’autore, mentre il futuro prossimo minaccia di trasformarsi sempre più in un enorme trappolone per l’occidente: con la Cina sempre più assertiva oltre che competitiva, la Russia implacabile guerrafondaia che non pare abbia intenzione di mollare la presa sulla ricostruzione del suo ex impero sovietico e, infine, il buon vecchioIslam, con la sua potenziale carica endemica di terrorismo folgorante. Tutto quanto rischia di metter sotto scacco l’Occidente del tanto vituperato uomo bianco. E la sinistra illuminata che fa? in questo preciso frangente di caos planetario ? Paradosso dei paradossi, non trova altro di meglio da fare, in questa assurda visione post ideologica, che auto-incaprettarsi, mani e piedi, consegnandosi al primo che passa. Incredibile davvero. Oltre che incomprensibile.
Una sinistra molto confusa, insomma, per usare un eufemismo, e per questo molto (ma molto) pericolosa. Una sinistra orfana dei valori di un tempo e che, nello sforzo di farsene di nuovi, ha subito un processo di un’involuzione terrificante, allontanandosi in maniera radicale dal suo punto di applicazione originario e naturale.
L’unico ambito in cui sembra mostrare un minimo di orgoglio è nella volontà di creare un establishment culturale di tutto rispetto, a propria misura, in cui i propri membri possano riconoscersi (e contarsi) nella convinzione forse che valgano più le forme esteriori che la vera sostanza delle cose. Elitismo che, evidentemente, pare non aver dato i frutti sperati se, le simpatie degli indecisi outsider americani, siano state dirottate altrove.
Se si va ad analizzare il dato del voto del 4 novembre, i democratici americani sono quelli che vivono nelle metropoli delle due coste, ricche e culturalmente avanzate, sono altamente scolarizzati, mandano i figli nelle migliori Università private, guadagnano in media tre o quattro volte di più rispetto alla media degli Stati Uniti profondi del centro e del sud. Dall’alto delle loro posizioni elitarie si professano sprezzantemente “inclusivi”, coltivano per moda il senso di colpa occidentalista e si professano terzomondisti, perché fa figo, facendo finta magari di non accorgersi che c’è gente che muore di fame davanti alla porta di casa loro.
Con che diavolo di credibilità e autorevolezza questo nuovo animale sociale che si riconosce in questa élite, così molle e schifiltosa, dovrebbe rappresentare i conflitti sociali alla base della mutevole e complicata società moderna? E al contrario, perché mai, il cittadino medio di uno stato del sud, dovrebbe essere attirato da un signorino impettito che lo tratta con un atteggiamento di supponenza(attori e star system di Hollywood dovrebbero tacere, fanno solo danno) con l’aria di chi impartisce loro le lezioni che non ha capito manco lui?
Purtroppo per i democratici, questo atteggiamento sprezzante, i redneck dell’America profonda, che all’incirca corrisponderebbero ai villici di casa nostra, gli zavurdi siciliani (per chi mastica il dialetto), non sono più disposti ad accettarlo. E niente, non c’ è proprio verso di farglielo piacere… E per ripicca, ecco che ti votano Trump. Anche se nella testa del Tycoon crescono banane. E quindi, per dirla alla Elon Musk (l’altra inquietante figura protagonista di questo scorcio di secolo altamente bizzarro): Game / Set / Match …
E venendo a noi, quanto di queste linee guida qui tracciate per capire la sinistra americana non aiutano a spiegare anche la grave crisi di identità che attraversa da anni ormai la sinistra in Italia e in Europa ? Forse è bello che arrivato il momento per le forze progressiste che hanno a cuore le sorti delle classi più deboli, della giustizia sociale e di un piano culturale finalmente alternativo, di abbattere vecchi e nuovi simulacri, per dedicarsi una buona volta ai veri problemi delle persone. Sempre che le persone non gli facciano troppo schifo, per carità…