Usa. La difficile democrazia di Biden e la sfida di metà mandato

di Maurizio Delli Santi * –

La società americana è spaccata, e la radicalizzazione dei sostenitori di Trump esercita ancora una forte influenza. Biden, dal canto suo, non è stato fortunato, nemmeno con i suoi sostenitori: anche tra i democratici molti osteggiano le politiche espansive e i progetti di redistribuzione del reddito in favore della middle class.

Non v’è dubbio che una gran parte della cultura democratica del mondo occidentale, e non solo, poco meno di un anno fa aveva salutato l’esordio presidenziale di Joe Biden con grande entusiasmo. Il ricordo è per il discorso dei primi 100 giorni in cui Biden era stato netto nel dichiarare la priorità della sua azione di governo: ridare fiato alla middle class lavoratrice, quella più provata dalla crisi economica e sociale. “Wall Street non ha costruito questo Paese, l’hanno costruito il ceto medio e i lavoratori” aveva detto il nuovo presidente annunciando il suo American Jobs Plan, l’ambizioso piano di investimenti che prevedeva destinazioni allo sviluppo delle infrastrutture per 2.300 miliardi di dollari, e aiuti alle famiglie per altri 1. 8oo miliardi. Ricordando l’appello che il Presidente Roosevelt aveva rivolto alla nazione per “ripristinare la fede del popolo nella nostra democrazia” attraverso la risposta economica, Biden aveva annunciato che la sua azione di governo sarebbe stata volta a ridurre le disparità di reddito negli Stati Uniti e a creare le condizioni per una ripresa economica che producesse i suoi effetti soprattutto sulle future generazioni. Il piano economico al centro della politica di Biden appariva dunque di chiara impostazione democratica, richiamando i principi del New Deal, il piano di riforme economiche e sociali promosso da Roosevelt che tra il 1933 e il 1937 aveva risollevato il Paese dalla grande depressione del 1929. La scelta di Biden segnava anche un ritorno ai principi della più tradizionale economia keynesiana, in base alla quale la spesa pubblica può essere incrementata, anche con misure di sostegno al reddito delle famiglie, purché sia correttamente finalizzata agli investimenti per il potenziamento di infrastrutture e servizi, favorendo quindi miglioramenti nei livelli di occupazione e nella distribuzione del reddito.
A distanza di un anno e alla vigilia delle Mid Term elections, l’America è ancora ostaggio dei repubblicani che hanno una forte rappresentanza, quasi paritaria, al Congresso ed è emerso anche l’ostruzionismo di alcune lobbies degli stessi democratici. Ad oggi, i sondaggi sulla presidenza Biden non sono incoraggianti e il giudizio prevalente sembra questo: grandi idee, ma poco concretamente realizzabili alla prova dei fatti, alcune anche contraddette dai suoi stessi sostenitori.
Biden non è interessato direttamente dal voto, ma le elezioni previste a novembre “di metà mandato” sono un test importante per il gradimento del Presidente in carica. Devono rinnovare una parte del Congresso e i governatori di alcuni Stati, insieme ai rispettivi apparati amministrativi e giudiziari. Per semplificare, generalmente i 435 membri della Camera dei Rappresentanti durano in carica due anni (in alcuni Stati quattro anni) e, quindi, le Mid Term elections coincidono con il giro di boa del quadriennio presidenziale. Sono in parte interessati anche i Senatori (eletti in numero fisso di 100, due per ogni Stato), atteso che nella maggior parte restano in carica sei anni, ma in diversi Stati rimangono in carica due o quattro anni.
In ogni caso, sarà una battaglia decisiva per Biden, anche perché dopo le ultime elezioni del 2020 il partito democratico alla Camera ha una risicata maggioranza con 222 seggi contro i 211 dei repubblicani, mentre al Senato c’è parità con 50 seggi assegnati a ciascuno. In caso di pareggio la maggioranza è decisa dal presidente del Senato. Ed è proprio l’ostruzionismo del Senato, favorito anche da una procedura nota come “filibuster”, che Biden vorrebbe superare: la regola richiede il voto di 60 dei 100 senatori per interrompere le prolungate discussioni degli ostruzionisti e passare al voto, anche se la legislazione richiederebbe una maggioranza semplice. L’offensiva dei repubblicani è comunque su diversi fronti. Nella convinzione di incidere sullo scarto di voto di specifiche componenti sociali dei democratici (afroamericani, meno abbienti, anziani, studenti, etc.), in 19 Stati a guida repubblicana sono stati varati provvedimenti restrittivi sull’esercizio di voto, limitando ad esempio la possibilità di votare per posta o complicando le regole di accesso ai seggi, qualificando anche come reato il rifornire acqua agli elettori, per dissuaderli dal fare le fila per votare, oppure considerando valido come documento di identificazione il porto d’armi ma non le tessere studentesche. Anche la Corte federale di New Orleans, che ha una maggioranza di giudici sostenuti dai repubblicani, ha inflitto un colpo alla strategia di Biden nella lotta alla pandemia, sospendendo l’obbligo di vaccino anti-Covid nelle aziende private con oltre 100 dipendenti.
In definitiva, come si è visto anche nelle manifestazioni per la commemorazione ed i processi per i fatti di Capitol Hill, la società americana è spaccata, e la radicalizzazione dei sostenitori di Trump esercita ancora una forte influenza. Biden, dal canto suo, non è stato fortunato, nemmeno con i suoi sostenitori. Il suo progetto di un grande piano di investimenti rivolti alle infrastrutture e alle famiglie per risollevare la middle class, specie ora che l’inflazione è salita al 7 %, è osteggiato da diversi democratici, come anche il progetto del George Floyd Act, l’attesa riforma contro il “razzismo sistemico” della polizia. Ma secondo alcuni osservatori le principali ostilità sono state alimentate dalle potenti lobbies contrarie alla rivisitazione dei criteri di tassazione: Biden l’aveva annunciata dichiarando che sarebbe stata incentrata sulla scelta di colpire i redditi più alti. “Non imporrò alcun aumento sulle persone che guadagnano meno di 400 mila dollari” aveva precisato. Ma poi aveva detto: “È arrivato il momento che le corporation e l’1 per cento dei più ricchi d’America paghino il dovuto”, rifacendosi allo slogan dell’1 per cento della sinistra americana, e citando uno studio dell’Institute on Taxation and Economic Policy per cui il 55% delle corporation nel 2020 avrebbero pagato “zero tasse” su oltre 40 miliardi di utili. “E molte aziende – aveva aggiunto – hanno evaso il fisco attraverso paradisi fiscali, dalla Svizzera alle Bermuda alle Cayman”. Il presidente aveva quindi sottolineato come “la pandemia ha peggiorato la situazione, perché mentre 20 milioni di americani hanno perso il lavoro, i 650 miliardari in America hanno visto la loro ricchezza aumentare di oltre mille miliardi di dollari. È ora di fare qualcosa”. Nella sostanza, la nuova tassazione avrebbe dovuto prevedere il ritorno alla aliquota del 39,6 % per i redditi superiori al milione, che la presidenza Trump aveva ridotto al 37%, e l’incremento della tassazione per le corporation dal 21% al 28%. Ovviamente ogni iniziativa nel senso si è presto arenata.
La scelta del ritiro dall’Afghanistan, poi, che pure era sostenuta dai tempi di Obama, dallo stesso Trump e dai principali think thank, per i risvolti avuti sulla instabilità nell’area si è rilevata un boomerang ed è stata strumentalizzata da quanti hanno imputato a Biden una miopia strategica. Sono poi arrivate le delusioni per l’irrilevanza dei discorsi della vicepresidente Kamala Harris, accusata in particolare di “sghignazzare” troppo in tv, anche in piena emergenza migranti mentre le veniva chiesto quando si sarebbe recata in Messico. E il neoeletto sindaco democratico di New York, l’afroamericano ex poliziotto Eric Adams, ha pensato bene di nominare suo fratello e un suo discutibile amico, già processato per corruzione, ai vertici della polizia.
Morale: alle elezioni di Mid Term Biden si giocherà tutto e dovrà lottare duro per realizzare il suo “sogno democratico”.

* Membro International Law Association.