Usa. La fine delle midterm e il loro impatto sugli Stati Uniti nei prossimi due anni

Il meccanismo delle midterm e la loro importanza nella formazione del Congresso.

di Iolanda Cuomo

Le midterm elections sono quasi giunte al termine e, come ogni biennio, sconvolgono l’assetto politico della potenza a stelle e strisce. Le midterm si tengono ogni due anni e o cadono o contemporaneamente all’elezione del presidente degli Stati Uniti, oppure a metà del suo mandato. A livello federale determinano la formazione del Congresso e l’elezione di alcuni governatori; a livello locale vengono eletti alcuni rappresentanti delle assemblee legislative degli Stati membri, delle contee e alcune cariche di sindaco in città più o meno importanti. Senz’ombra di dubbio, il Congresso è l’elezione più rilevante giacché è uno degli organi principali del Paese e principale titolare della funzione legislativa del Paese. Nella percezione comune che si ha degli Stati Uniti, si ritiene erroneamente che il presidente sia dotato di poteri illimitati e che decida in solitaria. È il Congresso ad avere in realtà un impatto concreto sulla vita dei cittadini, poiché emana leggi, finanzia programmi e uffici, controlla l’esecutivo e tiene le udienze per informare il processo legislativo. Esso è costituito da due Camere: la Camera Bassa e Senato. I 435 rappresentanti della Camera vengono eletti dai cittadini ogni due anni e per ogni Stato il numero di deputati varia in base alla sua popolosità. Il Senato è composto da 100 senatori, due per ogni Stato e dato che il mandato di un senatore dura sei anni, a scadenza biennale si vota soltanto per un terzo di essi. Dal momento che il vicepresidente degli Stati Uniti è anche senatore, ma non gode di diritto di voto, un partito può ottenere la maggioranza al Senato soltanto se vince 50 seggi, mentre sono invece necessari 218 seggi per vincere la Camera. È prassi che negli Stati Uniti il partito del Presidente in carica perda le elezioni di metà mandato, tanto che le midterm vengono considerate una sorta di referendum in cui si approva o meno l’operato del Presidente. Per questo motivo, solitamente i primi due anni di presidenza sono caratterizzati da una grande attività legislativa, come d’altronde ha tentato Biden stesso. A questi seguiranno tuttavia ostruzionismo e se necessario, il Presidente può far valere il suo diritto di veto, soprattutto con il Congresso entrante che non sarà più costituito da due Camere dem.

Le motivazioni dell’inaspettato successo dem.
Queste elezioni hanno determinato la vittoria dei Repubblicani alla Camera e la vittoria dei Democratici al Senato, quindi il Congresso sarà diviso in due. I dem quest’anno sono riusciti a mantenere il controllo del Senato con 50 seggi, quindi l’assetto attuale non verrà modificato. In realtà si erano assicurati il 51mo dopo il ballottaggio in Georgia con la vittoria di Warnock, ma dopo soli quattro giorni la senatrice dell’Arizona Kyrsten Sinema ha deciso di dichiarare la sua affiliazione come indipendente e abbandonando il partito democratico, i seggi sono diventati di nuovo 50. Seppur il partito di Biden non controllerà più entrambe le Camere, quello riportato dal suo partito a questa tornata è il risultato migliore per un Presidente dal 1986 poiché in fondo, il partito Repubblicano ha vinto alla Camera soltanto per un numero esiguo di seggi. I sondaggi precedenti alle elezioni riportavano come quasi certa l’incombenza di una Red Wave, soprattutto a causa del dissenso nei confronti di Biden e dell’inflazione. In un sondaggio promosso dal Sienna College prima delle elezioni, si rilevava che il 45% di chi avrebbe votato era fortemente insoddisfatto dell’operato di Biden e il 90% tra questi aveva dichiarato che avrebbe votato per un candidato repubblicano. In un altro sondaggio pubblicato dall’istituto Edinson Research, veniva ribadito questo malcontento: 7 partecipanti su 10 non avrebbero accettato una ricandidatura di Biden. Si attribuisce questo successo inatteso non ad una specifica strategia democratica, piuttosto alla scelta azzardata dei repubblicani di candidare personalità estremiste e cospirazioniste. Molte ancor’oggi non credono che il risultato delle elezioni presidenziali del 2020 sia legittimo. Ne è esempio Kari Lane, candidata Repubblicana come governatrice dell’Arizona, che durante un discorso durante le elezioni ha spesso ribadito che le elezioni del 2020 siano ricche di brogli e quindi falsate. Ulteriore tema che ha giocato a favore dei dem in questa elezione è stato l’aborto poiché la decisione della Corte Suprema di ribaltare la sentenza Roe vs Wade e di eliminare il diritto federale all’aborto ha turbato molto la popolazione degli Stati Uniti negli ultimi mesi. Le donne e gli elettori pro-choice temevano che un Congresso a maggioranza Repubblicana avrebbe potuto utilizzato il proprio potere per limitare il diritto e il corso all’aborto e si sono decisi a votare per i Democratici, nonostante non appoggiassero il Presidente in carica. I Repubblicani dall’altro lato stanno vivendo un momento di crisi interna e si attribuisce la colpa a Trump.

Intanto, la ricandidatura di Trump.
Nella sua residenza a Mar-a-Lago nel frattempo Donald Trump annuncia la sua ricandidatura e correrà per la terza volta alle presidenziali nel 2024. Quest’anno però il partito e anche i media non lo sostengono come in passato. Addirittura la stessa sera della conferenza stampa, sua figlia ed ex consigliera Ivanka Trump, ha dichiarato di “non voler esser coinvolta in questa campagna … per potersi dedicare ai figli e alla vita privata”. Oltre alla figlia In realtà questi giorni Trump è molto criticato, anche dai suoi (ex) sostenitori più accaniti. Murdoch, proprietario di FoxNews e suo storico sostenitore, lo incolpa non solo di aver fallito in collegi dove era la vittoria di un candidato repubblicano avrebbe dovuto esser scontata, ma di star riportando una serie di fallimenti, insostenibili per il partito. Dopo aver vinto le presidenziali del 2016, si sono susseguite una serie di perdite, nel 2018 la Camera, nel 2020 le presidenziali e oggi di nuovo il Senato. Trump non gode più della fiducia di quattro anni fa ed è molto probabile che il partito proporrà nuove personalità per le prossime presidenziali. Ciò renderà le prossime primarie del GOP estremamente interessanti e proprio nei prossimi mesi bisognerà prestare attenzione soprattutto a Ron DeSantis, governatore Repubblicano della Florida, non amato da Trump e suo papabile successore.
Le sfide che verranno
Una Camera Rossa e un Senato dove la maggioranza dei dem è risicata comportano molte difficoltà per Joe Biden e per il suo partito in generale. Ad attendere il presidente vi sono ostruzionismo, rallentamento dei piani di riforma e possibili investigazioni che il Partito GOP si era già ripromesso di fare (una fra tante quella contro Hunter Biden, figlio del presidente accusato di riciclaggio). Sarà inoltre interessante osservare come reagiranno i senatori Repubblicani al momento delle nomine dei giudici a vita che proporrà Biden. E non solo: in un affascinante report pubblicato dall’Atlantic Council, organizzazione apartitica che promuove la ricerca in ambito politico ed economico, si sono iniziati ad analizzare i temi su cui il prossimo congresso dovrà lavorare. La guerra in Ucraina, la spesa, la strategia di difesa in Europa e il rapporto con la Cina sono solo alcune delle sfide globali in cui vedremo gli Uniti protagonisti. Ed è proprio questo a determinare l’importanza delle midterm. Grazie a queste elezioni si ha la possibilità di comprendere le dinamiche interne che affliggono una potenza così polarizzata e sono un’occasione per tentare di prevedere la direzione che assumerà. Biden smagliante in una conferenza stampa il giorno dopo le elezioni ha annunciato che “Questo è un gran giorno per la nostra democrazia, un gran giorno per l’America”, ma ad attendere il presidente non saranno soltanto giorni grandi, ma giorni complessi, forse i più complessi del suo mandato.