di Giusepe Gagliano –
A sentire Donald Trump, sarebbe iniziata una nuova “età dell’oro” per gli Stati Uniti, un’epoca di luminosità collettiva che, per riflesso, dovrebbe irradiare tutto il pianeta. Una narrazione che ricorda i tempi d’oro del selvaggio capitalismo, ma che, a ben vedere, somiglia più a un copione a senso unico scritto dal solito autore: Trump stesso.
Con il consueto linguaggio iperbolico, l’ex presidente ha dipinto gli Usa come il centro dell’universo economico, il paradiso fiscale per eccellenza, un Paese dove gli affari scorrono senza ostacoli, liberi dalle “ridicole” normative ambientali del Green New Deal, da lui prontamente abolito. Un’America trasformata in una gigantesca “zona economica speciale”, dove il business è il nuovo dio e il profitto la religione di Stato.
Trump ha annunciato che le tasse industriali saranno abbassate al 15%, un regalo alle aziende che scelgono di produrre negli Stati Uniti. Il tutto condito da una “emergenza energetica” che gli consentirà, grazie a poteri straordinari, di concedere permessi in meno di una settimana. Tradotto: chi produce altrove subirà le conseguenze, mentre chi aderisce al “Make America Great Again” avrà le porte spalancate. Un sogno americano che sembra uscito dai libri di Ayn Rand, dove il capitale non conosce freni né limiti morali.
Per chi resiste all’egemonia americana, Trump non si fa problemi a brandire il bastone. Canada, Ue e chiunque osi non allinearsi saranno considerati “ostili”. Esempio calzante, il suo discorso sul Canada: “Non abbiamo bisogno delle loro foreste o del loro petrolio, ne abbiamo in abbondanza”. Un avvertimento che suona più come un ultimatum: o vi piegate, o diventate il nostro cinquantunesimo stato.
Nella sua cosmologia, Trump racconta di investimenti colossali come i 600 miliardi promessi da Mohammed bin Salman per il progetto “Stargate” sull’intelligenza artificiale (che Elon Musk ha già smentito). Oppure gonfia i numeri per arrotondarli: “Facciamo mille miliardi, che è più tondo”. La credibilità delle sue cifre è direttamente proporzionale alla realtà dei fatti: praticamente nulla.
Ma il punto è chiaro: gli Stati Uniti stanno pianificando di finanziare la loro rinascita sulle spalle degli altri, tra dazi, minacce e promesse di investimenti esteri. Non è capitalismo: è un gioco a somma zero, dove se qualcuno vince, qualcun altro deve perdere. E chi perderà, secondo Trump, sarà l’Europa.
L’Unione Europea è uno dei bersagli preferiti di Trump. “Ci trattano male”, lamenta, riferendosi a normative come il Digital Services Act, che punisce le aziende tecnologiche americane per violazioni delle regole sulla privacy. Per lui, queste non sono leggi, ma “dazi occulti”. La soluzione? Agire di conseguenza, anche a costo di mettere in discussione la sovranità europea.
Non bastasse, Trump pretende che l’Europa aumenti la spesa militare al 5% del Pil, livelli mai raggiunti nemmeno durante la Guerra Fredda. In pratica, una richiesta che suona come una minaccia: o pagate, o fate la fine del Canada.
E poi c’è il capitolo ambiente. Trump ha dichiarato che l’intelligenza artificiale avrà bisogno di “il doppio della generazione elettrica attuale”. E per lui, è un’opportunità: “Costruite pure centrali autonome, usate qualunque fonte disponibile, compreso il carbone”. Poco importa se ciò rappresenta il colpo di grazia per gli obiettivi ambientali. Per Trump, l’ambiente è solo un ostacolo al business.
In questa visione, il mercato globale non è un luogo di cooperazione, ma una giungla dove il più forte vince e impone le sue regole. Gli Stati Uniti di Trump non vogliono essere un modello, ma un dittatore economico che comanda e punisce chi non si allinea.
La nuova età dell’oro? Più che altro, una retorica dorata che nasconde una realtà fatta di squilibri, ingiustizie e politiche predatorie. E, come sempre, chi paga il prezzo più alto sono gli altri.