Usa. Quadruplicato il numero dei “baby jail”

di C. Alessandro Mauceri

Qualche tempo fa aveva destato scalpore la decisione di Trump di separarli forzatamente dalle famiglie. Una scelta bocciata severamente dalla Corte Costituzionale, ma che aveva lasciato strascichi pesanti: dei circa 2.400 minori da rimandare alle proprie famiglie, circa 400 erano rimasti senza genitori.
Negli ultimi mesi però, nonostante l’ordine del tribunale, il numero di minorenni immigrati trattenuti in centri di detenzione federale statunitensi le “baby jail”, è quintuplicato, raggiungendo il livello più alto mai registrato: oggi sarebbero non meno di 12.800 i minori in custodia. Un numero spaventoso di adolescenti, spesso ammassati in tendopoli non idonee e secondo molti in violazione dei loro diritti. “Il numero di bambini stranieri non accompagnati è un sintomo della più ampia questione di un sistema di immigrazione difettoso”, ha detto Evelyn Stauffer, addetto stampa del Dipartimento di salute e servizi umani.
La risposta del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani (HHS) è poco condivisibile: “I fattori demografici e altri fattori che influenzano il tempo di permanenza dei bambini in assistenza variano nel tempo, ma l’ORR agisce in modo coerente per garantire che gli sponsor vengano adeguatamente monitorati per la protezione dei bambini”. “Il numero di bambini stranieri non accompagnati trattenuti è un sintomo del problema più grande, vale a dire un sistema di immigrazione sbagliato, e HHS ha un sistema rigoroso per controllare gli sponsor per la preoccupazione per la sicurezza dei bambini”. “Poiché i bambini che entrano illegalmente nel paese sono ad alto rischio di sfruttamento da parte di trafficanti e contrabbandieri, l’Ufficio per il reinsediamento dei rifugiati (ORR) presso l’amministrazione HHS per bambini e famiglie mantiene alti standard per controllare gli “sponsor” dei bambini per la sicurezza e il benessere di il bambino”.
Il vero problema quindi sarebbero gli “sponsor”. Gli sponsor sono le persone cui potrebbero essere affidati questi minori e che soddisfano determinati requisiti. Fino a pochi mesi fa i bambini venivano rilasciati sotto la custodia di genitori o membri di una famiglia allargata al momento di entrare negli Stati Uniti. Ma da giugno scorso per decisione del governo Trump gli affidatari devono farsi riconoscere rilasciando le proprie impronte digitali. E i loro dati poi vengono trasmessi automaticamente alle autorità per l’immigrazione. Il vero problema è proprio questo: molti di loro, sono negli Usa con un permesso scaduto o non dispongono di permessi di soggiorno adeguati o aggiornati. Questo spesso li rende riluttanti a rilasciare le impronte perché rischierebbero di essere rispediti oltre confine.
È questo che ostacola il ricongiungimento familiare di migliaia di minori, che, in questo modo, rimangono rinchiusi nelle “baby jail”, carceri per bambini. Della vicenda ha parlato anche l’associazione Save the CHildren che ha lanciato l’allarme sulle conseguenze che certe “scelte politiche” hanno sulla salute dei bambini: “Il danno e il trauma della detenzione a lungo termine sui bambini comprendono depressione, ansia e disturbo da stress post-traumatico”. Una denuncia condivisa anche da un’altra associazione ProPublica Illinois che ha ottenuto dichiarazioni decine e decine di bambini inviati nelle baby jail dell’Illinois.
Le conseguenze per la salute dei bambini sono terribili e spesso mostrano segni di violenza verso se stessi o altri. Uno di loro, un ragazzo di 12 anni di nome Erick – in custodia per quasi quattro mesi dopo che i funzionari dell’immigrazione lo avevano separato dal padre – è stato ricoverato in un ospedale psichiatrico per una settimana, dopo che gli è stato diagnosticato un disturbo dell’adattamento. Dalle analisi è emerso che gli erano stati somministrati farmaci per controllare la sua depressione, aggressività ed esplosioni emotive. Un altro ragazzi di soli 11 anni proveniente dal Guatemala continuava a gridare: “Voglio morire qui”. Al punto che i dipendenti del centro hanno segnalato per lui: “Ha bisogno di vivere per vedere la sua famiglia”.
Del resto spesso, la qualità della vita nelle baby jail è terribile: con l’aumento degli arrivi le condizioni e l’accoglienza sono al limite. “Più ci si avvicina al 100%, meno si è capaci di gestire qualsiasi flusso di ingressi imprevisto”, ha dichiarato Mark Greenberg, che si è occupato di bambini migranti per il Dipartimento della salute e dei servizi umani durante la presidenza Obama. Anche Nancy Pelosi, che è a capo delle minoranze della Camera, ha recentemente definito la politica dell’amministrazione Trump nei confronti dei bambini migranti “disumana”.
Vengono stipati a centinaia in poco più di cento “centri di accoglienza” dislocati soprattutto nei pressi del confine sud-occidentale. Molte volte si tratta di vere e proprie tendopoli (ufficialmente solo temporanee) come quella a Tornillo, in Texas, per ospitare fino a 3.800 bambini entro la fine dell’anno per la quale è previsto un ampliamento (ma che senso ha ampliarla se è temporanea?) che entro la fine dell’anno dovrebbe ospitare quasi 4mila minori.
Il tutto per di più con costi enormi per i contribuenti americani: la rappresentante del Connecticut Rosa De Lauro, della sottocommissione Stanziamenti della Camera che finanzia il programma di accoglienza, ha riferito che queste strutture costano circa $ 750 a bambino al giorno, ovvero il triplo di un centro di accoglienza tradizionale e certamente molti di più che lasciare questi bambini insieme alle proprie famiglie.
La decisione di chiudere le frontiere (negli USA come in Europa e in Italia) ha però anche altre conseguenze gravi. Secondo un rapporto dell’UNICEF dal titolo “UPROOTED IN CENTRAL AMERICA AND MEXICO Migrant and refugee children face a vicious cycle of hardship and danger” il 91per cento dei minori espulsi negli ultimi due anni sono “detenuti” in Messio: 68.409 bambini “migranti” espulsi dagli USA e rispediti nei paesi dell’America Centrale. “Milioni di bambini nella regione sono vittime di povertà, indifferenza, violenza, migrazioni forzate e paura di essere espulsi”, ha dichiarato Marita Perceval, direttore regionale dell’Unicef per l’America Latina e i Caraibi. “In molti casi, i bambini che sono rimandati nei loro Paesi d’origine non hanno nessuna casa in cui tornare, e finiscono per essere sommersi dai debiti o sono presi di mira dalle gang criminali. Essere riportati a situazioni invivibili rende più probabile una nuova migrazione”. L’UNICEF abbia invitato i governi “a lavorare insieme per attuare delle soluzioni che aiutino a ridurre le cause scatenanti delle migrazioni irregolari e forzate ed a tutelare il benessere dei bambini rifugiati e migranti durante il viaggio”, ma queste parole sembra siano rimaste inascoltate.