Usa. Trump gioca le sue carte: immigrazione e dazi doganali

di Giovanni Caruselli

Non è stato difficile per il giudice federale John C. Coughenour, per altro nominato da Ronald Reagan, bloccare il decreto esecutivo di Trump sull’abolizione dello ius soli, dal momento che il 14mo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, varato nel 1869 assicura automaticamente la cittadinanza americana a chi nasce sul territorio Usa. È impossibile che The Donald non fosse a conoscenza di ciò e altrettanto lo è che i suoi consiglieri lo ignorassero. I legali del neopresidente obiettano che gli immigrati illegali non possono usufruire delle tutele della Costituzione, compreso il 14mo emendamento, in quanto illegali. Ai costituzionalisti questa argomentazione appare piuttosto debole, dal momento che un principio fondamentale del diritto è quello della responsabilità personale. Quindi se si può ritenere responsabile di un illecito l’immigrato irregolare, difficilmente le conseguenze di tale illecito possono ricadere su un neonato. La parte sana della società americana sta reagendo ai primi decreti presidenziali che sintetizzano chiaramente che cosa significa una politica “populista” come è quella trumpiana. 19 Stati si sono schierati contro il decreto e hanno denunciato l’Amministrazione. Entro 14 giorni un giudice dovrà emettere una sentenza in merito e dal tenore di essa potremo misurare l’effettivo potere dell’inquilino della Casabianca.
La caccia all’immigrato illegale, però, è iniziata. La polizia e l’Fbi stanno effettuando centinaia di arresti, soprattutto nelle città santuario, in cui vige una larga tolleranza verso gli immigrati irregolari. Sarebbero circa 13 milioni. I fermati sono detenuti in campi provvisori in attesa dell’espulsione. Secondo un sondaggio Reuters/Ipsos il 39% degli americani approva l’operazione, il 42% la disapprova. Trump ha mobilitato migliaia di uomini, elicotteri e aerei verso il confine col Messico per garantire la sicurezza dei rimpatri.
Nel frattempo il presidente interviene online alla Conferenza di Davos in corso nelle vesti di paladino del popolo americano. Contesta all’Europa un surplus di esportazioni negli Usa e invita la finanza Ue a investire al di là dell’oceano dove l’imposizione fiscale sarà molto ridotta. Ma la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen aveva preventivamente fornito i numeri reali di tutta la faccenda. In questo momento le aziende europee negli Usa danno lavoro a 3,5 milioni di americani, ai quali dobbiamo aggiungere almeno un altro milione di lavoratori locali occupati nel commercio fra i due continenti. Due terzi delle attività americane all’estero si trovano in Europa che importa dagli Usa il 50% del gas liquefatto che si consuma nell’Unione. Ciò non esclude che si prendano in considerazione le richieste di Trump, ma ridimensiona molto le sue lagnanze. Il 30% del commercio mondiale di beni è servizi si snoda fra le due sponde dell’Atlantico e gli Usa non trarrebbero alcun vantaggio da una riduzione di esso.
Invece è assodato che le spese in armi dell’Unione devono crescere, forse fino al 5%, dovendo gli Usa fronteggiare militarmente il colosso cinese e forse anche la Russia nell’Artico. Su questo punto le richieste di Trump appaiono comprensibili ai leader europei, ma estremamente complicate da accettare. Il 5% del Pil può essere devoluto alla difesa solo a spese delle protezioni sociali di cui gli europei godono, oppure con un sensibile innalzamento del carico fiscale complessivo. In ogni caso ormai è impossibile ignorare, come ha detto a Davos la von der Leyen, che siamo entrati in un’epoca di duro confronto geopolitico a livello planetario per l’approvvigionamento delle materie prime e il posizionamento nel commercio mondiale. Non si può competere in questa gara senza possedere un deterrente difensivo pronto a qualsiasi evenienza.
Le minacciate imposizioni doganali sui prodotti non made in Usa invece seguono un’altra logica. Se i prodotti europei in Usa saranno gravati da dazi ciò comporterà una crescita dei prezzi per il consumatore americano e anche per quello europeo, dal momento che Bruxelles dovrà rispondere allo stesso modo al protezionismo di Washington. Chi ne avrà benefici? Ovviamente l’amministrazione centrale che ricaverà ingenti introiti dalla riscossione dei dazi. In altre parole si tratterà di un’imposizione fiscale mascherata che permetterà forse una qualche riduzione dei debiti pubblici. Chi sarà danneggiato? Altrettanto ovviamente la classe media e i poveri che non potranno più approfittare dei prezzi moderati che fino a oggi sono stati praticati in Usa dai produttori europei. La high class che gode di introiti consistenti potrà continuare ad acquistare prodotti europei se li preferirà a quelli casalinghi. Una prima controprova di tale meccanismo probabilmente la si avrà quando i dazi imposti ai prodotti canadesi e messicani incominceranno a pesare sui consumatori americani.