Usa. Trump lavora per abrogare il lavoro di Obama sul clima

di Manuel Giannantonio –

Il piano di Obama prevede di far chiudere numerose centrali ma Donald Trump giudica le regole ambientali “inutili”.
Tra le promesse della colorita campagna elettorale di Donald Trump trova spazio anche il rilancio delle industrie minerarie americane, denunciate dagli ecologisti. Per farlo, l’amministrazione Trump abrogherà una delle misure fondamentali nella gestione Obama sulle politiche ambientali. Questa decisione sopraggiunge mentre Trump ha annunciato proprio lo scorso giugno la sua decisione di lasciare l’accordo di Parigi sul clima, stimando che fosse sfavorevole per gli Stati Uniti. L’accordo in questione fu firmato nel dicembre 2015 da 195 paesi, tra i quali gli Stati Uniti guidati proprio da Obama, per limitare l’aumento della temperatura mondiale.
L’attuale presidente repubblicano tornerà sul Clean Power Plan (piano per l’energia pulita) firmato dal suo predecessore democratico nell’agosto del 2015. Questa misura aveva lo scopo di accelerare la transizione energetica e di imporre alle centrali termiche delle riduzioni delle emissioni di biossido di carbonio (CO2) del 32% da oggi al 2030 in rapporto al 2005.
Il piano prevedeva la chiusura di numerose centrali tra le più inquinanti. Tuttavia è dal febbraio del 2016 che la Corte suprema ha bloccato la pratica impugnata in una trentina di Stati, neanche a dirlo, a maggioranza repubblicana.
“La guerra contro il carbone è finita”, ha dichiarato lunedì il capo dell‘Agenzia Americana di protezione ambientale (EPA), Scott Pruit, in un discorso sostenuto in Kentucky, terra di miniere nell’est del paese. “Domani, a Washington Firmerò un progetto sulla decisione per abrogare il Clean Power Plan della precedente amministrazione”, ha detto Scott Pruit uno degli scettici sugli accordi di Parigi e sulle scelte politico ambientali di Obama. “La precedente amministrazione utilizzava tutto il suo potere per designare i vincitori e i perdenti (…) La precedente amministrazione utilizzava tutto il suo potere e la sua autorità per fare sì che l’Epa designasse i vincitori e i perdenti del modo in cui si produce energia in questo paese”.
Nel 2015 il procuratore generale dell’Oklahoma ha stimato che il piano fosse “un tentativo illegale di accrescere il potere dei burocrati federali sulla politica energetica degli Stati”. Questa decisione è uno “dei più grossi attacchi contro la sanità pubblica, il nostro clima e la politica energetica degli Stati Uniti”, ha denunciato senza mezze misure Michael Brune, del Sierra Club una delle più importanti ong ambientaliste americane.
Il presidente Trump ha firmato lo scorso marzo il “decreto energetico” che ordinava un riesame delle politiche ambientali adottate dal suo predecessore. Stimava che molte delle politiche ambientali fossero “inutili e distruttrici di posti di lavoro” e che l’EPA avesse oltrepassato le sue prerogative limitando le emissioni inquinanti. Ha più volte messo in dubbio la realtà del riscaldamento globale del pianeta e il ruolo delle attività umani. Secondo l’associazione nazionale delle miniere, l’abrogazione del piano salverebbe 27 700 posti di lavoro.
Il carbone resta una componente importante del paesaggio energetico americano, tuttavia, rappresenta il 21% della generazione energetica degli Stati Uniti, contro il 32% per il gas naturale, 28% per il petrolio e i derivati, l’11% delle energie rinnovabili, il 9% per il nucleare secondo le cifre dell’Agenzia americana per l’energia (EIA). Gli Stati Uniti sono tuttavia il secondo paese per emissioni di gas a effetto serra dopo la Cina.