Usa. Trump padrone dello shutdown, ma guai per il Paese

di Domenico Maceri *

SAN LUIS OBISPO (usa). “Potreste aprire le porte del governo domani…Non è vero che lo volete usare come leva?” Così Mike Wallace della rete conservatrice Fox News mentre additava il vice presidente Mike Pence e il suo capo Donald Trump come responsabili dello shutdown che continua dal 22 dicembre del 2018.
Pence ha ribattuto che gli americani vogliono una soluzione al confine col Messico e che gli 800 mila dipendenti del governo si interessano a “trovare una soluzione per porre fine allo shutdown”. Secondo i sondaggi, però, gli americani sono contrari alla costruzione del famigerato muro (58%) e non approvano l’operato di Trump sulla situazione dello shutdown (61%).
Trump ha capito che si è scavato una fossa dalla quale difficilmente riuscirà ad uscirne. La leadership repubblicana che controlla la maggioranza al Senato gli è stata poco utile soprattutto con il silenzio di Mitch McConnell, presidente della Camera alta. In un suo discorso pochi giorni fa Trump ha cercato però di fare marcia indietro offrendo ai democratici una proposta che Nancy Pelosi ha etichettato come “falsa partenza”.
Trump ha offerto che in cambio di ottenere i 5,7 miliardi di dollari per la costruzione del muro sarebbe disposto a rinnovare di tre anni il Daca (Deferred Action for Childhood Arrivals), il permesso di soggiorno ai “dreamers”, giovani portati in America senza autorizzazione dai loro genitori e cresciuti nel Paese. Si ricorda che questo permesso temporaneo era stato sancito ai “dreamers” da Barack Obama con un ordine esecutivo. Trump da presidente ha revocato l’ordine del suo predecessore ma i “dreamers” sono stati salvati dal sistema giudiziario. Giudici federali hanno bloccato l’ordine di Trump perché la sua amministrazione non ha fornito ragioni dettagliate per porre fine al Daca. Proprio di questi giorni la Corte Suprema ha deciso di non prendere in considerazione il caso e quindi almeno per un tempo i “dreamers” sono ancora salvati dalla deportazione.
In effetti, Trump ha peggiorato la situazione dei “dreamers” prendendoli in ostaggio e adesso vorrebbe ricattare i democratici, ottenendo i fondi per iniziare la costruzione del muro che aveva promesso alla nausea in campagna elettorale.
In realtà, nei primi due anni di mandato, Trump e il suo partito hanno controllato il potere esecutivo e quello legislativo. Questo periodo di tempo sarebbe stato propizio per stanziare i fondi e costruire il muro. Non lo hanno messo in atto perché non fa parte dell’agenda dell’establishment repubblicano ma anche perché per Trump si trattava solo di retorica politica. Se si trattasse di mantenere la promessa fatta sarebbe stato il Messico a pagare per il muro come il candidato Trump aveva reiterato fino alla nausea nei suoi comizi.
Perché dunque questo rinato interesse? La risposta si trova nella retorica di alcuni conduttori radiofonici e televisivi, specialmente Ann Coulter e Rush Limbaugh che hanno ricordato alla base di Trump che il muro promesso non è ancora stato costruito. Queste reti di comunicazione conservatrici hanno notevole influenza sulla base di Trump. Da una parte appoggiano il presidente ma allo stesso tempo possono togliergli il loro supporto e quindi erodere notevolmente la base dei fedelissimi dell’attuale inquilino alla Casa Bianca.
Trump quindi deve rendere conto a questa retorica di ultra destra dalla quale non riesce a districarsi. Non sorprende dunque che la sua proposta ai democratici di estendere il permesso dei “dreamers” sia stata già etichettata di amnistia. Non lo è secondo Mike Pence perché lui la definisce con l’inclusione di un iter che permetterebbe ai “dreamers” di ottenere la cittadinanza dopo un periodo di alcuni anni, esclusa da Trump.
Lo shutdown continua ancora e nonostante la dichiarazione di Trump di assumersi la responsabilità le cose potrebbero cambiare. Con il controllo della Camera, Pelosi e il suo partito potrebbero essere visti come incapaci di governare nonostante il fatto che Trump ha dichiarato che si prenderebbe la responsabilità dello shutdown. Alla fine però quando il Paese soffre tutti i leader dei due partiti dovrebbero lavorare per trovare soluzioni.
Mitch McConnell, repubblicano del Kentucky e presidente del Senato, è stato finora assente dalle negoziazioni, limitando il suo ruolo a proteggere il presidente, sperando di mantenere unito il suo partito. Ma anche se i democratici riusciranno a trovare un accordo con Trump c’è sempre da considerare la sua volubilità, poiché un giorno ne dice una e poi poco dopo cambia idea. Lo ha fatto con il ritiro dei soldati americani dalla Turchia dopo una conversazione telefonica con Recep Tayyip Erdogan, il presidente turco. Dopo la promessa di Trump di ritirare i soldati, il consigliere di sicurezza nazionale John Bolton ha indicato che non avverrà. Più tardi quando Trump ha capito che il ritiro delle truppe americane rappresenterebbe un pericolo ai curdi, alleati americani, ha minacciato di distruggere l’economia di Erdogan se i turchi dovessero attaccarli. Trump funziona con minacce, ricatti, e volubilità che Pelosi sa di dovere prendere in considerazione.
Al momento di scrivere queste righe il Senato si appresta a votare su due disegni di legge. Il primo è proposto dai repubblicani e include l’offerta di Trump di scambiare i fondi del muro per l’estensione del permesso di soggiorno ai “dreamers”. Ha pochissime chance di essere approvato poiché include una “pillola velenosa” che renderebbe molto difficile le richieste di asilo politico. Il secondo, sponsorizzato dai democratici, riaprirebbe le porte del governo senza fondi per il muro di Trump ma avrebbe bisogno dell’unanime consenso dei 47 senatori democratici e 13 voti repubblicani. Nessun dei due ha buone possibilità di essere approvato poiché ambedue richiedono 60 voti su 100. Si spera però che un gruppo di legislatori bipartisan possa trovare un’apertura per un compromesso che toglierebbe Trump dai guai ma risolverebbe anche la situazione per il resto del Paese.

* Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.