Usa. Trump rilancia i dazi su acciaio e alluminio: protezionismo o propaganda?

di Giuseppe Gagliano

L’annuncio di nuovi dazi statunitensi su acciaio e alluminio ha riacceso il fronte della guerra commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea. Il presidente Donald Trump, nel suo secondo mandato, ha imposto tariffe del 25% su questi materiali, eliminando esenzioni e quote agevolate precedentemente concesse da Joe Biden. La risposta di Bruxelles non si è fatta attendere: l’Unione Europea ha varato contromisure su importazioni statunitensi per un valore di 26 miliardi di euro, puntando a riequilibrare gli effetti delle nuove politiche commerciali di Washington.
Ma si tratta davvero di una mossa protezionistica destinata a rilanciare l’industria statunitense, o piuttosto di una strategia propagandistica con più effetti simbolici che reali? E quali saranno le ripercussioni per l’Europa?
Il protezionismo economico non è certo una novità nell’agenda di Trump. Già durante il suo primo mandato, nel 2018, l’allora presidente aveva imposto dazi simili sostenendo che l’industria statunitense dell’acciaio fosse in pericolo a causa della concorrenza cinese e delle pratiche commerciali sleali. Tuttavia il ritorno di queste misure in un momento in cui l’industria manifatturiera statunitense non mostra segni di crisi solleva interrogativi sulle reali motivazioni.
Se da un lato è vero che Trump ha sempre fatto leva sul tema della “America First”, dall’altro i suoi dazi sembrano avere un chiaro risvolto elettorale. A novembre si voterà per il rinnovo di Camera e Senato, e il presidente vuole rafforzare il consenso in quegli Stati industriali, come la Pennsylvania, Ohio e Michigan, che hanno sofferto del declino della produzione siderurgica negli ultimi decenni. A livello politico è un messaggio diretto agli operai statunitensi: l’amministrazione è pronta a proteggere il loro lavoro, anche a costo di innescare tensioni con gli alleati.
L’Unione Europea ha risposto con fermezza, imponendo tariffe su un’ampia gamma di beni made in Usa, dalle motociclette al bourbon, fino ai prodotti agricoli come carne e latticini. L’obiettivo è quello di rendere evidente a Washington che una guerra commerciale non conviene a nessuno. Bruxelles ha anche annunciato una revisione delle proprie politiche industriali per rafforzare la produzione interna di materie prime strategiche e ridurre la dipendenza dall’importazione di acciaio e alluminio.
Per l’Europa però la sfida più grande, non è tanto la concorrenza statunitense, quanto per la posizione della Cina. Negli ultimi anni Pechino ha sostituito gli Usa come principale mercato per l’export siderurgico europeo. Il rischio è che le tensioni commerciali con Washington finiscano per spingere ulteriormente le aziende europee nelle braccia della Cina, in un contesto geopolitico sempre più polarizzato.
L’introduzione di tariffe doganali generalizzate non è mai priva di conseguenze. Se da un lato Trump può vantare un temporaneo incremento della produzione interna, dall’altro i dazi rischiano di tradursi in prezzi più alti per i consumatori statunitensi, minori investimenti da parte delle aziende e una maggiore inflazione. Lo stesso vale per l’Europa: se il prezzo dell’acciaio e dell’alluminio aumenta, interi settori produttivi ne risentiranno, dall’automotive all’industria pesante.
D’altra parte la storia insegna che le guerre commerciali spesso si trasformano in un gioco a somma zero. Nel 2018 i dazi di Trump portarono a una crescita della produzione di acciaio negli Usa solo nel breve termine, mentre a lungo andare le esportazioni soffrirono per le ritorsioni di Europa e Cina. Oggi, con un’economia globale più fragile e con il peso delle recenti crisi, il rischio è ancora più elevato.
L’impressione è che il ritorno dei dazi sia più un’operazione politica che una vera strategia economica. Trump vuole dimostrare ai suoi elettori di essere il difensore dell’industria autoctona, ma le conseguenze reali delle sue politiche restano incerte. L’Europa dal canto suo ha risposto con fermezza, ma è chiamata a una strategia a lungo termine per proteggere la propria industria senza cadere nella trappola del protezionismo.
Alla fine a pagare il prezzo più alto di questa nuova stagione di scontri commerciali potrebbero essere le imprese e i consumatori, sia negli Usa che in Europa. Mentre i governi giocano la loro partita politica, il rischio è che l’economia globale ne esca ancora più frammentata.