Veleni e coltelli per l’Ucrainagate. Intanto vende a Zelensky 150 missili anticarro

di Guido Keller –

Lo scandalo Trump – Biden – Zelensky, per il quale i democratici stanno insistentemente chiedendo l’impeachment del presidente Usa, sta facendo passare in sordina la decisione della Casa Bianca di vendere all’Ucraina di 150 missili anticarro Javelin e di altre strumentazioni militari per un controvalore di circa 40 milioni di dollari. In realtà della cosa Trump ne ha parlato nel corso della telefonata riprodotta dalla “talpa” con il presidente ucraino Voldymyr Zelensky, e la fornitura rientra nel quadro dell’assistenza che gli Stati Uniti stanno dando al Kiev fin dal 2014 per la guerra del Donbass. Tuttava la vendita di armi ad un paese in guerra rende deboli i propositi della ricerca di una soluzione politica al conflitto. Sarà comunque il Congresso a votare ed eventualmente dare il via libera alla vendita dei 150 missili anticarro all’Ucraina.
Lo stesso Congresso che oggi presenta una maggioranza democratica alla Camera e repubblicana al Senato, e che oggi è attraversato come uno scossone dalla richiesta di impeachment avanzata dai democratici dopo la rivelazione della telefonata tra il presidente Usa e quello ucraino, in realtà risalente al 25 luglio: allora Zelensky chiese al presidente americano sostegno militare per la crisi del Donbas, ma questi pretese in cambio “un favore”, ovvero un’inchiesta ufficiale sull’operato di Joe Biden in Ucraina durante l’era Obama, nonché su suo figlio Hunter Biden, già membro del consiglio di amministrazione della società energetica ucraina Burisma. Joe Biden è uno dei candidati alle primarie democratiche, politico navigato e con le carte in regola per sfidare Trump o un altro repubblicano nella corsa alla Casa Bianca, per cui Trump ha chiesto al collega ucraino indagini volte a screditarne l’immagine.
Si tratta quasi di una prassi nel vortice dei veleni e dei coltelli che caratterizza la corsa dei candidati alla presidenza, si pensi al Russiagate e alla teoria dell’hackeraggio da parte dei russi di oltre 20mila mail dei democratici divulgate nel giugno 2016 che indicavano un’operazione del comitato centrale del Partito Democratico, che avrebbe dovuto essere neutrale, volta a screditare il candidato alle primarie Bernie Sanders a vantaggio di Hillary Clinton, uno scandalo che fece crollare in breve tempo il vantaggio dell’ex segretario di Stato su Trump di 9 punti.
Nel corso della telefonata a Zelensky, Trump chiese anche di dare prova che i server di posta elettronica di Hillary Clinton o del Partito Democratico nella campagna elettorale del 2016 fossero stati in Ucraina.
Nell'”Ucrainagate” sono coinvolti uomini di primo piano che ruotano intorno al presidente, da Kurt Volker, inviato speciale del dipartimento di Stato in Ucraina, a Gordon Sondland, ambasciatore presso l’Ue e all’avvocato di Trump, Rudolph Giuliani.
La pubblicazione della telefonata tra i due presidenti ha portato ad un’indagine che ha aperto il vaso di Pandora: tra le ultime informazioni venute a galla, frutto di intercettazioni e controllo della messaggistica, vi sono medesime pressioni esercitate da Trump sul governo cinese, sempre al fine di screditare Joe Biden.
Indagini e scandali in divenire quindi, per una campagna elettorale non ancora iniziata e che si appresta a partire nel peggiore dei modi. Difficilmente si arriverà all’impeachment, anche perché i repubblicani sono in maggioranza al Senato. Sempre che anche tra loro non si sia arrivati ad una notte dei coltelli.