Venezuela, dove abbonda il petrolio ma per un pieno servono due stipendi

di C. Alessandro Mauceri

Il Venezuela è in assoluto il paese con le più grandi riserve di petrolio del mondo. Secondo alcune stime basate sui dati del CIA World Factbook, le sue riserve ammonterebbero a oltre 300 Gbbs (miliardi di barili di greggio). Molto di più dell’Arabia Saudita (che si ferma a 266) o di Iran e Iraq (ciascuno intorno ai 150 Gbbs). Lontani gli altri paesi: gli EAU non raggiungono i 98 Gbbs, la Libia non va oltre oltre i 48.4 Gbbs e appaiono lontanissimi paesi come gli USA (38) e la Cina (25.6).
Eppure da qualche settimana il Venezuela è a secco di combustibili: ferme le industrie, a secco le pompe di benzina e anche la produzione di energia elettrica è compromessa. A maggio le estrazioni medie giornaliere sono scese in picchiata fino a livelli pari a -57% rispetto a quanto programmato dalla compagnia statale PDVSA, mai così bassi dal 1945.
Due terzi dei 77 siti estrattivi sono stati chiusi temporaneamente. E la situazione è così grave che il governo ha dovuto chiedere aiuto ad alcuni alleati dall’altro capo del pianeta: l’Iran ha annunciato che invierà a Caracas 1,5 milioni di barili.
Insostenibili però i costi per la popolazione: sul mercato nero un litro di benzina arriva a costare anche 9 dollari, quasi il doppio del salario minimo mensile (fissato a un valore attualmente corrispondente a 5 dollari)!
Come è possibile? Per comprendere cosa sta avvenendo in Venezuela e quali potrebbero essere le cause (e le conseguenze) di tutto ciò, è necessario fare un passo indietro. Di certo non ha fatto bene l’iperinflazione che da tanti mesi affligge il paese: formalmente sarebbe finta da circa un anno, ma in Venezuela i prezzi continuano a lievitare in modo esponenziale, anche del 38,6% mensile. Anche la diffusione del sommerso, del mercato nero è un problema. Eppure non sono queste le vere ragioni della crisi di cui non sta parlando nessuno. La vera causa è un’altra.
Quello di cui è ricchissimo il sottosuolo venezuelano è petroleo extra pesado: il greggio dell’Orinoco è molto pesante, con una densità che lo colloca tra 4 e 16 gradi nella scala Api, dunque all’estremo opposto rispetto ai greggi leggeri o leggerissimi estratti dalle shale rocks degli altri paesi grandi estrattori di petrolio. A questo si aggiunge che l’extra pesado venezuelano, che somiglia molto alle sabbie bituminose del Canada, si trova a profondità tra 150 e 1400 metri, spesso mescolato a formazioni sabbiose. Per questo motivo è difficile da estrarre e quasi impossibile da trasportare attraverso un oleodotto. Per renderlo vendibile è necessario diluirlo con greggi più leggeri o sottoporlo a lavorazioni in impianti di trattamento che lo trasformino in syncrude, petrolio sintetico. O diluirlo con prodotti raffinati. Tutti processi che rendono la lavorazione molto costosa, ma soprattutto che necessitano di sofisticati sistemi di lavorazione. É questo che fa sì che il Venezuela fino a oggi non è stato in grado di sfruttare se non in minima parte le enormi ricchezze che possiede. Ma anche quelle che ricava sono vincolate a lavorazioni che spesso dipendono da mezzi provenienti da altri paesi.
E qui entra in ballo la disputa con gli USA. Anche se apparentemente distratti dalle elezioni presidenziali e dalla pandemia (volutamente) ritardata, gli USA non hanno mai smesso di pensare poter mettere le mani sulle immense risorse petrolifere del Venezuela. Fallito il tentativo di rimuovere l’attuale governo, quello di qualche mese fa fu una sorta di tentativo di golpe non riuscito, si è capito che avrebbe potuto essere più proficuo tagliare i rubinetti dei prodotti e delle tecnologie che consentivano all’economia del Venezuela, basata fondamentalmente sul petrolio. Molte compagnie petrolifere si sono rifiutate di fornire servizi e prodotti petroliferi all’industria petrolifera venezuelana a causa delle sanzioni statunitensi. Inoltre, sebbene il Venezuela sia considerato un paese esportatore di petrolio, in passato la maggior parte del materiale necessario per la produzione di petrolio greggio del Venezuela veniva fornito dalle compagnie statunitensi.
Colpire questo settore potrebbe fare più male al regime di Maduro di quanto non ne fece il tentativo di golpe di qualche mese fa. Non bisogna dimenticare che è stata la compagnia petrolifera di Stato, la Petroleos de Venezuela (Pdvsa), a consentire di finanziare le politiche del regime di Hugo Chavez prima e del suo successore Nicolas Maduro poi.
Ora il settore petrolifero attraversa momenti difficili. E non sembra più riuscire ad essere il baluardo che protegge il regime e la cassa dalla quale attingere per coprire le spese dello Stato. Il governo di Nicolas Maduro è seriamente a rischio: completamente isolato dalla comunità internazionale, è costretto a chiedere aiuto all’Iran e a pagarlo non in bolivar, la svalutatissima moneta venezuelana, ma in oro. Un controsenso per il paese che dispone della maggiore quantità di oro nero del pianeta.