Venezuela. Fine isolamento per la prima potenza petrolifera?

di Francesco Giappichini

Se il Venezuela si reinserisse a pieno titolo nella comunità internazionale, gli effetti sulle dinamiche geopolitiche globali sarebbero dirompenti. Siamo innanzi al primo Paese al mondo per riserve di petrolio (ne possiede un quinto), che però soffre una crisi economica con inflazione a tre cifre, e in più ruota nell’orbita delle autocrazie.
La recente firma del “Segundo Acuerdo parcial para la protección social del pueblo venezolano” rende speranzoso l’Occidente, e segue l’eliminazione di alcune sanzioni statunitensi contro l’industria petrolifera, e l’incontro tra il presidente Nicolás Maduro e l’omologo francese Emmanuel Macron, (a margine della Conferenza delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici, in Egitto). Il “Segundo Acuerdo” prevede lo sblocco parziale di fondi statali congelati all’estero, e il loro impiego per progetti sociali (specie nei campi di sanità e istruzione). Saranno recuperati tre miliardi di dollari, su un totale di risorse congelate che secondo Caracas varia tra 24 e 30 miliardi. L’ammontare sarà gestito dalle Nazioni unite e da un comitato costituito dai governi di Venezuela e Norvegia.
A firmare il patto, il governo bolivariano e l’alleanza Plataforma unitaria de Venezuela (Puv), ossia i settori maggioritari dell’opposizione, che sono più intransigenti con l’Esecutivo chavista, ed hanno boicottato le presidenziali 2018. Si tratta appunto di un secondo accordo: il primo, dell’ottobre ’21, riguardava la questione pandemica e una rivendicazione territoriale. Il dialogo si era poi interrotto, per riprendere nelle scorse settimane, con la mediazione del norvegese Dag Nylander, che dirige l’autorevole Norwegian centre for conflict resolution (Noref). I negoziati hanno avuto come osservatori Messico e Stati uniti, ed hanno beneficiato dell’appoggio de facto, sia del ministro degli Affari esteri spagnolo, José Manuel Albares, sia del leader colombiano Gustavo Petro (il primo ad annunciare la firma del documento). Come conseguenza dell’accordo, il Dipartimento del Tesoro statunitense ha autorizzato la compagnia Chevron a riprendere in loco l’estrazione di petrolio.
Una decisione che segue il principio, spiega il documento, di alleggerire le sanzioni, nella misura in cui si facciano passi verso la democrazia. A osservare il rispetto del “Segundo Acuerdo” saranno Unione Europea, Stati uniti, Regno Unito e Canada, e anche questo G4 (come scrivono i media locali) auspica un accordo integrale, che conduca a presidenziali “libere e giuste” nel ’24.
E sebbene gli obiettivi finali siano la restaurazione democratica, e la fine della crisi umanitaria, il G4 rivedrà il sistema sanzionatorio, nel caso di “progressi rilevanti” nei negoziati. Ha poi colpito il voltafaccia di Maduro: subito dopo la firma ha rimarcato il “nuovo capitolo” verso “la pace e il benessere”, per bollare in seguito la Puv come “derecha golpista, intervencionista, progringa y terrorista”. Questi ha poi elevato l’asticella delle richieste: dall’eliminazione di ogni sanzione, alla restituzione di Citgo petroleum corporation, da parte di Washington. La filiale di “Petróleos de Venezuela sociedad anónima (Pdvsa)” in Nord America, nel ’19 fu assegnata all’amministrazione fantasma del capo dell’opposizione Juan Guaidó, considerato dalla Casa bianca il legittimo presidente. Maduro ha quindi condizionato lo svolgimento di un voto libero, nel ’24, alla revoca delle sanzioni: “Se vogliono elezioni libere, noi pretendiamo votazioni senza sanzioni”.