Venezuela. Maduro ordina il sequestro delle fabbriche ‘paralizzate dalla borghesia’ e l’arresto dei proprietari

di Enrico Oliari –

maduro grandeCome da tradizione dà la colpa agli altri, il presidente venezuelano Nicolas Maduro. Agli americani, alle opposizioni da loro alimentate, agli arabi, a chi boicotta il paese con gli scioperi, ai capitalisti.
Per “sconfiggere il colpo di stato e la guerra economica, in modo di stabilizzare il paese e affrontare le minacce contro la nostra patria”, Maduro ha annunciato ieri altri 60 giorni di “stato di emergenza economica”, non omettendo di accusare ancora una volta “gli Stati Uniti di attivare le richieste promosse dalla destra venezuelana”.
Ed oggi si è spinto oltre, ordinando il sequestro delle fabbriche “paralizzate dalla borghesia” e l’arresto degli imprenditori che cercano di “sabotare il Paese”. “Nell’ambito di questo decreto in vigore – ha spiegato il presidente – prendiamo tutte le misure per recuperare l’apparato produttivo paralizzato dalla borghesia. Chiunque voglia fermare la produzione per sabotare il paese dovrà andarsene e chi non lo fa va ammanettato e inviato alla PGV (Prigione generale del Venezuela)”. “Fabbrica ferma, fabbrica restituita al popolo!” ha aggiunto, e, rivolgendosi ai suoi sostenitori ha urlato che “Mi aiuterete a recuperare tutte le fabbriche paralizzate dalla borghesia”.
La realtà vede un paese dall’economia avvitatasi su se stessa, ma non solo per il prezzo del petrolio. Mauro non ha saputo adattare il paese al linguaggio globale pur pretendendo di parteciparvi a pieno titolo, per cui vi è stato un effetto domino che ha causato una crisi disastrosa, con l’inflazione schizzata oltre il 700%, gli uffici pubblici costretti ad un’apertura di due giorni alla settimana e le scuole di quattro, in modo da contenere il più possibile la spesa. La corrente elettrica è razionata, e non solo per la scarsità di acqua alla diga di Guri, che da sola produce 47mila GWh/anno, quasi il 70 per cento del fabbisogno energetico del paese.
Il cibo scarseggia, i negozi sono vuoti. In questo quadro Maduro è intervenuto venerdì in un discorso televisivo assicurando che non lascerà il potere prima della fine del suo mandato e ha detto che l’impeachment di Dilma Rousseff in Brasile è un segno che il prossimo sulla lista di Washington sarà proprio lui. E così, parlando di golpe, ha richiamato l’ambasciatore venezuelano in Brasile, Alberto Castelar.
Non è scontato che verrà indetto il referendum sul suo di impeachment, promosso dal comitato delle opposizioni che ha raccolto 2 milioni di firme, cioè 10 volte il necessario, dal momento che già la Commissione nazionale elettorale, controllata dal governo, ha parlato di brogli e di firme nulle. Qualcuno mormora che la sua destituzione potrebbe arrivare dall’interno del suo stesso governo, e forse Maduro lo sa, tant’è che ha preannunciato per il 21 maggio “esercizi militari nazionali delle Forze armate, del popolo e della milizia per prepararci a ogni evenienza”.