di Giuseppe Gagliano –
Nicolas Maduro, presidente del Venezuela, ha reagito con toni duri all’ultimo decreto firmato da Donald Trump che limita l’ingresso negli Stati Uniti ai cittadini venezuelani (e di altri sei Paesi), e ha accusato la Casa Bianca di lasciarsi “avvelenare da una campagna di menzogne sistematiche”.
In un discorso pronunciato in diretta televisiva durante una cerimonia ufficiale, Maduro ha rivolto un appello personale all’inquilino della Casa Bianca: “Presidente Trump, non si lasci ingannare. Le bugie che raccontano sul Venezuela sono un veleno che intossica la comprensione tra i nostri popoli.”
Secondo il leader bolivariano il provvedimento statunitense, che entrerà in vigore il 9 giugno, non è altro che l’espressione di una strategia di disinformazione tesa a criminalizzare la diaspora venezuelana e delegittimare le istituzioni di Caracas. Il decreto, firmato il 4 giugno, vieta visti per soggiorni lunghi, turismo, studio e affari, salvo eccezioni concesse per “interesse nazionale” dal procuratore generale Pam Bondi o dal segretario di Stato Marco Rubio.
La tensione tra Venezuela e Stati Uniti non è certo una novità. Dal 2019, le relazioni diplomatiche sono sospese, dopo che Washington ha smesso di riconoscere la legittimità del governo Maduro. La breve apertura avviata nei primi mesi del 2025, con dialoghi tecnici su migrazione e petrolio, è stata cancellata dal ritorno di Trump alla presidenza. Con la nuova amministrazione, sono state revocate le licenze speciali che permettevano alle aziende energetiche statunitensi di operare in Venezuela, segnando un ritorno alla politica delle “massime pressioni”.
Trump ha anche dichiarato di non riconoscere i risultati delle elezioni presidenziali venezuelane del 2024, che hanno confermato Maduro al potere, etichettandole come fraudolente. Un’accusa respinta da Caracas come “grossolana ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano”.
Uno dei nodi più sensibili resta quello della migrazione. Tra il 2023 e il 2024, decine di migliaia di venezuelani hanno attraversato il confine sud degli Stati Uniti, spinti dalla crisi economica e sociale del Paese. A gennaio, Washington e Caracas avevano firmato un’intesa preliminare per favorire rimpatri volontari e gestiti. Ora, tutto sembra sospeso.
Per Maduro, la vera posta in gioco non è solo la mobilità dei cittadini, ma la narrazione mediatica: “La maggior parte dei venezuelani all’estero sono persone oneste, lavoratrici, ambasciatori della nostra dignità. Criminalizzarli è un atto vile.”
Secondo indiscrezioni vicine alla diplomazia venezuelana, Caracas starebbe valutando una protesta formale attraverso l’ambasciata di Svizzera, che rappresenta gli interessi statunitensi sul suolo venezuelano.
Dietro le parole concilianti rivolte a Trump si cela però una sfida strategica, in cui Caracas cerca di frammentare il fronte occidentale, puntando sullo storico anti-globalismo del tycoon americano. Ma la nuova amministrazione Trump, più che dialogare, ha accelerato il disimpegno e rilanciato la pressione economica, cercando nel contempo di rafforzare l’asse con l’opposizione venezuelana.
Nel contesto di un’America Latina sempre più polarizzata e contesa tra influenze regionali e superpotenze esterne, la vicenda Venezuela-USA resta un banco di prova. E l’appello di Maduro a Trump, più tattico che sincero, rischia di restare una voce nel deserto diplomatico, mentre la crisi venezuelana continua a generare ondate migratorie, tensioni interne e accuse incrociate.
Una cosa però è certa: le “menzogne” evocate da Maduro non sono che l’ultima arma retorica in un confronto che, ben lontano dall’essere risolto, si è ormai radicato nelle pieghe della nuova guerra fredda latinoamericana.