Venezuela. Piccoli segnali di disgelo tra Maduro e Guaidò

di Paolo Menchi

Il Venezuela sta vivendo da alcuni anni una situazione estremamente difficile sul piano economico e sociale, addirittura paradossale se si pensa che parliamo di un Paese che ha le più grandi riserve petrolifere del mondo ma, per colpa di numerosi errori commessi nel passato, non ha i mezzi per estrarlo.
Tutte le problematiche economiche sono aggravate da una situazione politica molto tesa con l’erede di Chavez, Nicolas Maduro, che sta spingendo sempre di più il paese verso un sistema dittatoriale con il completo controllo del parlamento, del sistema giudiziario e della corte suprema.
L’esempio più recente riguarda la confisca del palazzo dove ha sede El Nacional, a seguito dell’esecuzione della sentenza a favore del chavista Diosdado Cabello. Infatti il quotidiano aveva ripreso un’inchiesta del giornale spagnolo ABC secondo la quale Cabello era indagato dalla giustizia statunitense per legami con il narcotraffico, e la Corte suprema aveva condannato il giornale a pagare 13,4 milioni di dollari di danni di risarcimento per diffamazione.
Dopo che nel 2019, a seguito di elezioni ritenute non regolari, si era proclamato presidente del parlamento prima e del Venezuela poi, il leader dell’opposizione Juan Guaidó, fallito il tentativo di conquistare il potere forzando la mano, ha continuato la lotta politica, spesso in modo discutibile come nelle ultime elezioni parlamentari, quando aveva invitato all’astensionismo (per altro accolto, visto che aveva votato solo il 31% degli aventi diritto) lasciando che l’assemblea legislativa passasse sotto il totale controllo chavista.
Forse però si sta muovendo qualcosa e i due leader stanno capendo che per salvare il Venezuela è necessario iniziare un dialogo costruttivo, anche se entrambi pongono delle condizioni preventive non facili da superare.
Per la prima volta lo scorso 11 maggio in un’intervista Guaidó si è detto disposto a dialogare con Maduro perché la “crisi attuale merita la ricerca di soluzioni realiste e praticabili”, proponendo un incontro tra governo e poteri locali con i gruppi di opposizione, con il coinvolgimento però della comunità internazionale; manifestando tuttavia nello stesso tempo scetticismo circa la possibilità di dialogo con “un regime dittatoriale”.
Dall’altra parte Maduro non nasconde un certo orgoglio per la richiesta dell’opposizione, dichiarando che “coloro che avevano cercato di assumere il potere con la forza e l’appoggio delle potenze imperialiste ora si vogliono sedere a trattare”, ma pone subito una pesante condizione.
Per iniziare il dialogo il presidente vuole che siano tolte tutte le sanzioni che erano state decise a livello internazionale per spingerlo ad abbandonare l’incarico, che vengano sbloccati tutti i conti correnti venezuelani all’estero e che venga restituito il denaro confiscato al suo Paese.
Guaidó non si è mostrato contrario alle richieste di Maduro, pur sottolineando che l’allentamento delle sanzioni dovrebbe essere un processo graduale che vada di pari passo con il ritorno ad un libero confronto politico che permetta che le prossime elezioni possano essere una sfida alla pari.
Tra gli analisti non c’è molto ottimismo sulla riuscita delle trattative, si ritiene che le condizioni poste da Maduro siano solo un modo di guadagnare tempo e ricordano precedenti tentativi falliti come quello del 2019 con la mediazione della Norvegia.
È anche vero che sono passati due anni e che la situazione si è aggravata ancora di più, e non solo per colpa della pandemia, e chi è veramente interessato alla sorte dei venezuelani dovrebbe fare un passo indietro per riuscire a far fare un passo in avanti al proprio Paese.