Venezuela. Tra attentato a Maduro e collasso economico

di C. Alessandro Mauceri

Quando si parla di flussi migratori verso gli USA, spesso si trascurano le vere cause di questi fenomeni, come, del resto, avviene con i flussi di migranti dall’Africa verso i paesi europei. La maggior parte di quelli che cercano di varcare i confini con gli Stati Uniti d’America non provengono dal Messico bensì da paesi come l’Ecuador o il Venezuela. Fuggono da situazioni geopolitiche spaventose di cui nessuno parla (e tanto meno fa niente).
In Venezuela l’economia sta vivendo una crisi spaventosa. Tale da far sembrare la crisi argentina di qualche tempo fa una bazzecola. Per comprendere la gravità della situazione basti pensare che il 2017 si è chiuso con un’inflazione del 2.735. E, secondo le stime dell’Assemblea Nazionale, nel 2018 avrebbe dovuto subire un ulteriore aumento fino a raggiungere la spaventosa percentuale del 6.000%. Una previsione che alla fine si è rivelata addirittura fin troppo rosea: a giugno, come ha riferito Forbes, il professor Hank della John Hopkins University, calcolando l’andamento dei prezzi utilizzando la teoria della parità del potere di acquisto, ha dichiarato che i prezzi in Venezuela stavano raddoppiando ogni 29 giorni. Non sbagliava: alla fine di maggio l’iper-inflazione venezuelana aveva raggiunto quota 27.364% e continuava a crescere esponenzialmente! Oggi ha superato il 40.000%. Forse sarà un caso ma da alcuni anni la banca centrale del Venezuela non fornisce più dati ufficiali sull’andamento dell’inflazione. A questo si aggiunge che da anni il PIL del paese continua a diminuire vertiginosamente, ha perso il 16% nel 2016, il 14% nel 2017 e dovrebbe arrivare a -15% quest’anno.
È evidente che è in atto un vero e proprio collasso economico che si traduce in emergenza umanitaria: oltre 600mila persone secondo i dati ufficiali, hanno lasciato il paese cercando rifugio nei paesi limitrofi e l’emigrazione non accenna a rallentare, tanto che il Brasile ha dichiarato lo stato di emergenza. Il livello di povertà del paese continua a crescere e il tasso di omicidi è il secondo al mondo.
All’origine di tutto questo fenomeno c’è la variazione del prezzo del petrolio e il conseguente aumento dei prezzi. Nonostante il Venezuela possieda una delle più grandi riserve di petrolio del mondo, i governi che si sono succeduti hanno legato l’economia del paese a questo settore in modo spropositato: i proventi del greggio rappresentano il 95% dei ricavi da esportazione. Questo, se da un lato ha permesso al governo di finanziare generosi programmi di assistenza sociale per ridurre la povertà e l’ineguaglianza, dall’altro con il calo del prezzo del greggio iniziato nel 2014 ha obbligato il governo a tagliare gli aiuti alle fasce più deboli della popolazione. Generando così una crisi sociale, ma anche economica che ormai rasenta l’incredibile: recentemente esperti del Fondo Monetario Internazionale hanno ipotizzato per il Venezuela (da tempo “sorvegliato speciale”) un tasso di inflazione pari a 1.000.000% (un milione per cento)!
Oggi, a metà del 2018, i prezzi dei beni al consumo sono saliti del 47.000%. Per capire cosa significa basti pensare che il costo di un caffè a Caracas, la capitale, è passato da meno di 0,1 bolivar dello scorso anno a 1.400 di oggi. Un altro esempio è il costo delle sigarette: a gennaio una sigaretta costava quanto 166 litri di benzina! E la situazione continua a peggiorare di giorno in giorno con un ritmo inarrestabile. E secondo molti esperti non servirà a nulla la decisione annunciata dal presidente del Venezuela, Nicolas Maduro, di svalutare la moneta a partire dal 20 agosto. La nuova moneta, il bolívar soberano (bolívar sovrano), avrà cinque zeri in meno rispetto al bolívar fuerte (bolívar forte), la valuta usata oggi e rimasta praticamente senza valore. Di misure simili si era già parlato lo scorso anno, ma l’applicazione del piano era stata più volte rimandata. Con conseguenze catastrofiche per l’economia. E non solo.
La decisione del governo potrebbe non bastare a risollevare le sorti del paese: nel rapporto di aggiornamento sulle prospettive dell’economia globale, l’Fmi ha stimato che l’economia sudamericana subirà un calo del Pil del 18 per cento nel 2018.
Un ulteriore crollo a due cifre che avrà gravi conseguenze sociali per il paese. E geopolitiche per tutto il continente americano.