Venezuela. Tre organizzazioni militari denunciano Maduro alla Cpi

di Giuseppe Gagliano –

La recente denuncia presentata alla Corte Penale Internazionale (CPI) contro Nicolás Maduro e Vladimir Padrino López segna un ulteriore capitolo nel lungo declino istituzionale del Venezuela. Tre organizzazioni militari di riserva hanno formalmente accusato il presidente e il ministro della Difesa di crimini contro l’umanità, citando il deterioramento deliberato delle condizioni di vita della popolazione più vulnerabile, in particolare anziani e militari in pensione.
La situazione venezuelana è la rappresentazione perfetta di come un Paese possa collassare sotto il peso della mala gestione economica e della repressione politica. Se un tempo il Venezuela si fregiava delle sue enormi riserve petrolifere e di una posizione geostrategica di rilievo, oggi è uno Stato al collasso, dove il salario minimo e le pensioni equivalgono a meno di 2 dollari al mese, spingendo milioni di cittadini all’emigrazione.
L’iniziativa delle organizzazioni militari di riserva, tra cui il Fronte Militare Istituzionale (FIM) e il Movimento Militare in Pensione (MMR), non è un gesto isolato. Si inserisce in un contesto di crescente pressione internazionale su Maduro, che negli ultimi anni ha visto aumentare le accuse nei suoi confronti da parte di istituzioni come l’ONU e la giustizia argentina. Nel 2020, una missione indipendente delle Nazioni Unite aveva già raccolto prove di torture, persecuzioni e omicidi extragiudiziali da parte del governo venezuelano.
Se da un lato la CPI potrebbe accogliere la denuncia e avviare un’indagine preliminare, dall’altro è evidente che il processo si muoverà su tempi lunghi e difficilmente si tradurrà in azioni immediate. Tuttavia l’aspetto più significativo di questa denuncia risiede nel messaggio che trasmette: anche una parte delle forze armate venezuelane, pilastro del regime chavista, sta prendendo le distanze da Maduro.
La politica economica del Venezuela è un mosaico di fallimenti, aggravati da un sistema di corruzione radicato. La svalutazione estrema delle pensioni militari ne è un chiaro esempio: nel 2001, un generale di brigata in pensione riceveva circa 1.700 dollari al mese, oggi si ritrova con appena 16 dollari, un’elemosina che non garantisce nemmeno la sopravvivenza. Il cosiddetto “bonus di guerra economica” da 90 dollari mensili, pensato per tamponare il malcontento, è poco più di un palliativo.
Maduro ha adottato una strategia basata sulla distribuzione selettiva delle risorse, premiando i settori più fedeli al governo, come l’alto comando militare, e lasciando nel degrado i ranghi inferiori. Il risultato è un malcontento crescente all’interno delle stesse forze armate, storicamente il pilastro di ogni governo venezuelano. Non a caso, le proteste di gruppi di ufficiali in pensione si sono moltiplicate negli ultimi mesi.
Il Venezuela di oggi è un Paese dove il confine tra crisi economica e repressione politica si fa sempre più sottile. Il governo di Maduro non ha solo distrutto l’economia, ma ha anche creato un meccanismo di controllo sociale che si regge sulla paura e sulla dipendenza economica dallo Stato.
La denuncia alla CPI, pur avendo un valore più simbolico che immediatamente pratico, potrebbe alimentare ulteriormente la pressione internazionale e, soprattutto, aumentare il malcontento interno tra i militari. Il regime chavista si è sempre retto su un patto implicito con le forze armate: protezione e privilegi in cambio di fedeltà. Ma quando gli ufficiali in pensione iniziano a denunciare apertamente il governo, significa che quel patto si sta sgretolando.
Resta da vedere se questa incrinatura si trasformerà in una frattura capace di minacciare seriamente il potere di Maduro o se il regime, come già accaduto in passato, riuscirà a reprimere ogni dissenso con la forza.