di Giuseppe Gagliano –
L’articolo apparso sul sito del Centro Francese di Ricerca sul Intelligence diretto da Eric Denécé intitolato “Il videogioco e il conflitto israelo-palestinese” e scritto a quattro mani da Valère Llobet e Théo Claverie è di particolare significato nel contesto della guerra psicologica tra Israele e Palestina.
Dal 7 ottobre 2023, nel conflitto israelo-palestinese si è osservato un fenomeno simile a quello in corso tra Ucraina e Russia, con l’uso di immagini tratte da videogiochi come strumenti di disinformazione. Tuttavia l’uso dei videogiochi in questo contesto non è nuovo. Sin dal 2003 con giochi come Special Force sviluppato da Hezbollah, i videogiochi sono stati utilizzati per propaganda e disinformazione. Questo gioco ad esempio metteva il giocatore nei panni di un membro dell’organizzazione terroristica che combatteva le truppe israeliane nel sud del Libano. Non solo Hezbollah, ma anche altri attori come Hamas e l’Iran hanno sfruttato questo medium per promuovere i loro narrativi e condurre una guerra informativa.
Hamas ha utilizzato giochi come Gaza-man, in cui un supereroe palestinese combatte contro le forze israeliane. Questo gioco, insieme a molti altri come Liyla and the Shadows of War, è stato creato per incitare all’odio contro Israele e radicalizzare i giovani. Il gioco Fursan al-Aqsa, sviluppato da un palestinese residente in Brasile, è particolarmente grafico nella sua violenza contro soldati e poliziotti israeliani, suscitando critiche soprattutto in Israele.
L’Iran ha sviluppato giochi che simulano conflitti con Israele e gli Stati Uniti, come Special Operation 85: Hostage Rescue e The Commander of the Resistance: Amerli Battle, quest’ultimo glorificando Qassem Soleimani. La produzione locale iraniana mira sia a propagandare all’estero che a consolidare il supporto interno, specialmente tra i giovani.
Hezbollah ha creato giochi come Défense sacrée, che glorifica i combattenti contro lo Stato Islamico, e Special Force II, basato sulla guerra del 2006 contro Israele. Questi giochi sono parte integrante della loro propaganda e servono anche come fonte di finanziamento attraverso la vendita di copie pirata.
Nel conflitto israelo-palestinese i videogiochi non sono usati solo per propaganda, ma anche per disinformazione. Sequenze di giochi come ARMA III e Digital Combat Simulator sono state utilizzate per diffondere false informazioni sui social media. Questi video, alterati per sembrare reali, hanno confuso il pubblico e i media, creando caos e incertezza. Ad esempio, video di ARMA III sono stati spacciati come immagini reali del conflitto da canali televisivi come Romania TV.
L’uso di videogiochi per propaganda e disinformazione può influenzare significativamente l’opinione pubblica, polarizzando le opinioni e rendendo più difficile trovare soluzioni diplomatiche. Inoltre, può portare a un aumento del reclutamento e della radicalizzazione, con conseguenti atti di violenza e terrorismo. La guerra di informazioni tramite videogiochi può destabilizzare le società e alimentare ideologie estremiste.
Per contrastare queste tattiche è necessario aumentare la consapevolezza sul ruolo dei videogiochi nella propaganda e nella disinformazione. Campagne educative e programmi di alfabetizzazione mediatica possono aiutare il pubblico a riconoscere queste influenze. Inoltre, una maggiore regolamentazione e monitoraggio dei contenuti videoludici possono prevenire la diffusione di giochi che promuovono la violenza e l’odio.
Anche le contromisure di propaganda, come la creazione di giochi che promuovano messaggi di pace e tolleranza, possono essere efficaci. Collaborazioni con sviluppatori di giochi per creare contenuti che favoriscano la comprensione reciproca e la risoluzione dei conflitti possono contrastare la propaganda negativa.
In sintesi l’uso dei videogiochi nel conflitto israelo-palestinese è una componente importante delle operazioni di influenza mediatica. La continua evoluzione tecnologica dei videogiochi renderà queste pratiche sempre più sofisticate e diffuse. Tuttavia, con un approccio integrato e coordinato, è possibile mitigare l’impatto di queste strategie sulla società globale.
Valutazione geopolitica sull’utilizzo dei videogiochi nel conflitto israelo-palestinese.
L’uso strategico dei videogiochi nel conflitto israelo-palestinese, come delineato nell’articolo, riflette un’evoluzione significativa nelle modalità con cui le fazioni in conflitto cercano di influenzare l’opinione pubblica e condurre operazioni di propaganda e disinformazione. Questa pratica ha implicazioni geopolitiche di vasta portata che meritano un’attenta analisi.
Manipolazione delle percezioni pubbliche.
L’uso di videogiochi da parte di gruppi come Hamas, Hezbollah e l’Iran per creare narrazioni specifiche e influenzare l’opinione pubblica globale rappresenta una forma sofisticata di guerra psicologica. Attraverso la rappresentazione dei combattenti come eroi e degli avversari come nemici disumani, questi gruppi possono plasmare le percezioni delle giovani generazioni, non solo nelle regioni direttamente interessate, ma anche a livello globale. Questa manipolazione delle percezioni pubbliche può rafforzare il sostegno internazionale a queste cause, complicando ulteriormente gli sforzi diplomatici per risolvere il conflitto.
Radicalizzazione e reclutamento.
I videogiochi utilizzati come strumenti di propaganda possono servire da potenti mezzi di radicalizzazione e reclutamento. La narrativa eroica e la glorificazione della violenza contro Israele possono attrarre giovani disillusi o già simpatizzanti, trasformandoli in attori attivi del conflitto. Questa dinamica non solo alimenta il ciclo di violenza, ma può anche portare a un aumento del terrorismo internazionale, poiché individui radicalizzati possono essere mobilitati per operazioni all’estero.
Guerra di informazione e disinformazione.
L’impiego di videogiochi per diffondere disinformazione, come evidenziato nell’articolo, rappresenta una minaccia significativa alla verità e alla trasparenza. La capacità di creare video realistici che possono essere scambiati per veri eventi di guerra aumenta la difficoltà di discernere tra realtà e finzione. Questa strategia può essere utilizzata per destabilizzare società democratiche, creare panico e disordine, e indebolire la fiducia nelle istituzioni mediatiche tradizionali. La guerra di informazione condotta tramite videogiochi è una nuova frontiera che richiede risposte innovative e concertate da parte della comunità internazionale.
Impatto sulle relazioni internazionali.
L’uso di videogiochi come strumenti di propaganda e disinformazione ha implicazioni dirette sulle relazioni internazionali. Paesi come Israele devono affrontare una nuova dimensione di minaccia alla loro immagine internazionale, mentre gruppi come Hezbollah e Hamas cercano di guadagnare simpatia e sostegno internazionale. La disinformazione diffusa può influenzare le politiche estere di altri stati, portando a una maggiore polarizzazione e riducendo le possibilità di mediazione e risoluzione dei conflitti.
Risposte geopolitiche e strategiche.
Per contrastare l’uso dei videogiochi come strumenti di propaganda e disinformazione, è necessario un approccio multi sfaccettato. In primo luogo, la cooperazione internazionale per regolamentare e monitorare i contenuti videoludici può aiutare a prevenire l’uso improprio di queste piattaforme. Inoltre, campagne educative globali possono aumentare la consapevolezza sui pericoli della disinformazione e migliorare l’alfabetizzazione mediatica.
Le potenze mondiali e le organizzazioni internazionali devono sviluppare strategie per contrastare la disinformazione digitale, includendo tecnologie avanzate per rilevare e denunciare contenuti falsi. In questo contesto, la collaborazione tra governi, aziende tecnologiche e organizzazioni non governative è cruciale per costruire un fronte comune contro queste pratiche.
Conclusioni.
L’uso dei videogiochi nel conflitto israelo-palestinese rappresenta una nuova forma di conflitto ibrido che integra propaganda, disinformazione e guerra psicologica. Le implicazioni geopolitiche sono profonde, influenzando le percezioni pubbliche, alimentando la radicalizzazione, destabilizzando le società e complicando le relazioni internazionali. Affrontare questa minaccia richiede una risposta globale e coordinata, che combini regolamentazione, educazione e tecnologia per preservare la verità e la stabilità internazionale.