di Giuseppe Gagliano –
È accaduto di nuovo. Nel silenzio colpevole delle cancellerie internazionali e sotto l’ala protettiva dell’“eccezionalismo americano”, un attacco aereo statunitense ha fatto strage di innocenti. È successo il 28 aprile nel Nord dello Yemen, a Sa’ada. Una bomba, probabilmente una GBU-39 a guida di precisione, ha centrato un centro di detenzione noto, mappato, frequentato da operatori umanitari, dove erano rinchiusi oltre cento migranti africani. Il risultato: decine di morti, corpi smembrati, ospedali al collasso.
A denunciare l’ennesimo crimine che si consuma nell’indifferenza globale è Amnesty International. Ma le parole della segretaria generale Agnes Callamard, per quanto lucide e documentate, rimbalzano su un muro di gomma. Il Pentagono, ora nelle mani di un’amministrazione Trump sempre più disinvolta nel disprezzo delle convenzioni internazionali, si limita a parlare di “valutazioni dei danni”. Danni, non vite.
Non è una novità. Quel carcere era già stato colpito nel gennaio 2022 da un raid della coalizione saudita, con bombe sempre statunitensi. Allora morirono 90 persone. Due anni dopo, si replica. Identico obiettivo, identica impunità.
La questione, come giustamente nota Amnesty, non è solo morale ma giuridica. Le regole del diritto internazionale umanitario parlano chiaro: distinguere tra obiettivi civili e militari, proteggere i non combattenti, sospendere gli attacchi in caso di dubbio. Ma a chi valgono queste regole? Certamente non agli Stati Uniti sotto Trump. Il Comando Centrale (CENTCOM) ha riconosciuto centinaia di attacchi, ma evita accuratamente di ammettere responsabilità dirette. E, fatto ancor più grave, Washington ha iniziato a smantellare i pochi strumenti di supervisione ancora esistenti: via i funzionari legali scomodi, tagliati i controlli interni, ridotto l’obbligo di giustificare le “vittime collaterali”.
Trump, che si proclama uomo della pace ma ordina bombardamenti con la stessa leggerezza con cui invia un tweet, si muove su un terreno senza freni. Nella sua visione del mondo, i civili uccisi non sono un problema giuridico, ma un effetto collaterale da minimizzare mediaticamente. E così il diritto internazionale, quel fragile meccanismo costruito dopo la Seconda guerra mondiale, si rivela ancora una volta un’arma spuntata nelle mani dei più deboli, e un fastidio superfluo per i potenti.
Amnesty chiede un’inchiesta. Ma chi la farà? Il Consiglio di Sicurezza è paralizzato. Il diritto internazionale, un tempo strumento di giustizia, oggi è ridotto a invocazione retorica. E intanto le bombe cadono. Precise, firmate USA, su persone che non hanno volto, né diritti, né voce. Se davvero questo massacro sarà ricordato come il più grave compiuto dagli Stati Uniti dopo Mosul 2017, sarà solo perché i numeri sono troppo alti per essere nascosti. Ma anche allora, nulla cambierà.
Perché oggi la libertà di movimento non ce l’hanno i migranti africani in fuga dalla miseria. Ce l’ha il Pentagono. E sotto Donald Trump, quella libertà si esercita senza freni, senza vergogna e senza legge.