Algeria. Malgrado la condanna dell’ONU la repressione in Algeria non risparmia nemmeno le donne dell’8 marzo

di Belkassem Yassine

Risale a tre giorni fa la condanna dell’Algeria da parte dell’Onu in materia di arresti arbitrari, torture, violenza sessuale, ma continua in Algeria la repressione verso i membri del movimento pro-democrazia Hirak, e “almeno 2.500 persone sono state arrestate o detenute in relazione al loro attivismo pacifico”. L’Onu ha chiesto alle “autorità algerine di smettere di usare la violenza contro manifestanti pacifici, di fermare arresti e detenzioni arbitrarie e di rilasciare immediatamente e incondizionatamente tutti coloro che sono stati arrestati o detenuti arbitrariamente per aver sostenuto Hirak, nonché di lasciar cadere le accuse mosse contro di loro”.
Malgrado gli appelli delle ong internazionali e delle associazioni dei diritti umani all’Algeria, la repressione non si ferma neppure durante la giornata simbolica dell’8 marzo. Così le donne che manifestavano ad Algeri e in altre città sono state brutalmente molestate, aggredite, ferite e represse dalle forze di sicurezza mentre scagliavano l’inevitabile slogan del movimento Hirak per uno “Stato civile, non militare”. Le donne chiedevano l’abrogazione del Codice della Famiglia e il rispetto della loro dignità, ma soprattutto la fine del regime militare.
Per loro il presidente Tebboune è illegittimo poiché è stato “posto dai militari” che detengono il potere nel paese.
La loro vera motivazione è espressa, nella giornata internazionale della Donna, nei loro slogan, “Pouvoir (Potere) assassino”, “Non siamo uscite per festeggiare, ma per obbligare Issaba (la banda) a partire”.
La repressione è dettata – secondo i manifestanti- dal generale Said Chengriha, che aveva infatti ordinato di colpire i leader delle manifestazioni per cercare di arginare l’Hirak, che è ritornato in piazza con le marce anti-regime organizzate ogni venerdì, e le manifestazioni degli studenti ogni martedì.