15 economie orientali stringono accordi di libero scambio

Con la Cina firmano Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda.

di Angelo Fasulo

Se gli Stati Uniti di Donald Trump hanno dato una stretta agli accordi di libero scambio introducendo dazi anche nei confronti dei paesi dell’Unione Europea, in oriente è stato siglato in queste ore un maxi accordo fra 15 economie regionali tra cui la Cina, il Giappone e la Corea del Sud, superando così ataviche divisioni sia per motivi storici che prettamente di interessi geopolitici,
Per comprendere la portata del Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), basti pensare che interessa il 2,2 miliardi di consumatori, ovvero quasi un terzo della popolazione mondiale.
L’accordo è stato sottoscritto ad Hanoi, in Vietnam, con diversi leader collegati in videoconferenza a causa dell’emergenza Covid-19, e di certo avrà come conseguenza una crescita dell’egemonia commerciale cinese nell’area riducendo la dipendenza di Pechino dagli Usa e dall’occidente ad esempio i prodotti tecnologici.
L’India si è chiamata fuori temendo una maggiore dipendenza dalla Cina con la quale rapporti non sono ottimali, mentre all’accordo di libero scambio, che gradualmente comporterà la riduzione della tassazione sui beni importati nell’arco di un decennio ma anche investimenti, commercio elettronico, proprietà intellettuale e appalti pubblici, hanno aderito anche Australia e Nuova Zelanda; ha tuttavia fatto scalpore la partecipazione del Giappone, nonostante le contese con la Cina per alcune isole (Senkaku e Takeshima) e soprattutto per le divisioni per motivi di carattere storico. Il ministero delle Finanze cinese ha commentato che “Per la prima volta Cina e Giappone hanno raggiunto un accordo bilaterale di riduzione delle tariffe, raggiungendo una svolta storica”.
L’accordo è stato siglato a margine di una riunione dell’Asean il cui tema erano le tensioni nel sud est asiatico, in particolare per le manovre della Cina volte a fare proprie zone economiche di competenza esclusiva, anche creando isole militari artificiali.
All’intesa, pensata per la prima volta nel 2012, hanno aderito anche Indonesia, Cambogia, Vietnam, Thailandia, Filippine e Singapore.