230 anni fa la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo

di C. Alessandro Mauceri

Si parla spesso di “diritti umani”, di “convenzioni” e di “accordi internazionali”. Eppure si dimenticano date importanti. Come il 26 agosto 1789. Quel giorno in Francia l’Assemblea Costituente promulgò la Dichiarazione sui Diritti dell’Uomo. Un documento che fu esso stesso una rivoluzione. A cominciare dall’Articolo 1, “Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune”. Il testo definitivo venne discusso in Assemblea dal 20 al 26 agosto 1789. Era ancora vivo il ricordo della presa della Bastiglia. Erano passati pochi giorni dall’abolizione del feudalesimo. La Dichiarazione sui Diritti dell’Uomo divenne la base su cui venne costruita la prima Costituzione francese, nel 1791, e diede vita ad un mutamento radicale del modo stesso di intendere la “cosa comune”. Un cambiamento del modo di pensare e di vedere la società che ha ispirato documenti oggi ritenuti irrinunciabili come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.
Fu nella Dichiarazione sui Diritti dell’Uomo che per la prima volta vennero inseriti concetti che oggi sono considerati fondamentali. Principi come l’uguaglianza di fronte alla giustizia, agli impieghi pubblici e al fisco. Diritti come la libertà di pensiero, d’opinione, di stampa, d’espressione. Ma anche fondamenti della moderna economia come il diritto alla proprietà, ritenuta sacra e inviolabile.
A questo documento si ispirarono trattati come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (basata sui quattordici punti redatti dal presidente degli USA, Woodrow Wilson, nel 1918) e sui “pilastri” delle Quattro Libertà enunciati da Franklin Delano Roosevelt nella Carta Atlantica del 1941. Ma anche documenti come la Convenzione Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali o la Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici, elaborati dalla Commissione per i Diritti Umani e adottate dall’ONU nel 1966.
Anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (proclamata la prima volta nel 2000, a Nizza, e una seconda volta, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo) faceva riferimento a quei principi. Ancora una volta si trattava di un documento sintetico ma essenziale: il suo preambolo e i 54 articoli sottolineano principi fondamentali su cui dovrebbe basarsi l’Unione. Principi come la dignità (art 0-5), la libertà (art. 6-19), l’uguaglianza (art. 20-26), la solidarietà (art. 27-38), la cittadinanza (art. 39-46) e la giustizia (art. 47-50) divisi in quattro categorie quali le libertà fondamentali comuni presenti nelle costituzioni di tutti gli stati membri; i diritti riservati ai cittadini dell’Unione, come la facoltà di eleggere i propri rappresentanti al Parlamento europeo e di godere della protezione diplomatica comune; i diritti economici e sociali, quelli che sono riconducibili al diritto del lavoro e diritti “moderni”, quelli che derivano da alcuni sviluppi della tecnologia, come la tutela dei dati personali o il divieto all’eugenetica e alla discriminazione di disabilità e di orientamento sessuale.
Proprio per questo suo essere soggetto precursore e al tempo stesso ispiratore di buona parte dei trattati che sono stati scritti successivamente, nel 2003 la Dichiarazione sui Diritti dell’Uomo venne inserita dall’Unesco nell’Elenco delle memorie del Mondo.
Eppure, a distanza di 230 anni esatti dalla sua stesura questo documento sembra essere finito nel dimenticatoio. Il motivo, forse, è da cercare nella perdita dei valori e dei principi che erano alla base di quel testo(e dei documenti che a questo si ispirarono. Principi che la società moderna sembra aver dimenticato.
Anche della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea non parla più nessuno: sarebbe dovuta confluire nel 2004 nella Costituzione europea. Una Costituzione che non è mai entrata in vigore, alcuni sostengono a causa della mancata ratifica da parte di Stati membri. L’ennesima dimostrazione, se mai ce ne fosse bisogno, che l’Unione Europea non è una unione politica e culturale ma semplicemente un accordo economico. Ma anche che a rispettare questi principi oggi sono pochi. In base al Trattato di Lisbona i principi contenuti nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE), nota anche come Carta di Nizza, hanno lo stesso valore giuridico degli altri trattati europei e dovrebbero quindi essere vincolanti per tutte le istituzioni europee e per gli Stati membri.
Invece, rileggendo gli articoli della Carta di Nizza e quelli contenuti nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e successive modifiche, non si può non notare come questi diritti siano diventati pura teoria.
Oggi, non è facile trovare un paese tra quelli che hanno sottoscritto la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo (e, in Europa, la CDFUE) che rispetti almeno in parte quanto venne scritto nei suoi 30 articoli il 10 dicembre 1948.
Leggere che “Tutti gli essere umani nascono con uguali diritti e dignità” (art.1) suona strano. Che gli stessi diritti “spettano a qualsiasi essere umano, senza distinzioni di razza, colore, sesso, religione, lingua, opinione politica o qualsiasi altra” (art.2). In un mondo in cui aumentano le guerre per motivi economici, sentire parlare di “diritto alla vita ed alla propria sicurezza” appare quasi ridicolo. Così come sentire che “nessun essere umano potrà vivere in stato di schiavitù”: oggi nel mondo una moderna forma di schiavitù continua ad essere una piaga sociale e i lavoratori sottopagati e senza diritti sindacali sono spesso la base della produzione delle multinazionali che governano l’economia del pianeta. Eppure pochi ne parlano e nessuno fa nulla.
La lista degli articoli e dei diritti fondamentali caduti nel dimenticatoio è lunghissima: si va dalla tortura al riconoscimento dei diritti giuridici, dall’uguaglianza di fronte alla legge alla tutela dei diritti costituzionali, dal diritto di non essere arrestato, esiliato o detenuto arbitrariamente (come la mettiamo con Guantanamo e simili?) al diritto di “ogni individuo di ricevere asilo politico in altri Stati diversi dal proprio, a meno di essere colpevole di azioni contrarie ai principi cardine delle Nazioni Unite”. E ancora, “Ogni persona ha diritto ad una cittadinanza, e non potrà esserne privato”, recita l’art. 15; la realtà è che neanche l’UNHCR oggi è in grado di dire quanti sono gli apolidi.
La lista dei diritti negati, a volte anche nei paesi più “evoluti” e “sviluppati”, è lunghissima: il diritto alla libertà di coscienza, di religione e di pensiero; il diritto alla libertà di opinione; il diritto alla partecipazione di ogni individuo al governo del proprio paese, e proprio in questi giorni nel Regno Unito la regina ha accettato la richiesta del governo di chiudere il Parlamento!.
Il diritto ad un tenore di vita decoroso, per se e per la propria famiglia: suona strano in un mondo dove la povertà, sia relativa che assoluta, rimane un problema che le misure nazionali ed internazionali non sono mai riuscite (o non hanno voluto) risolvere.
Il “diritto all’istruzione”: l’analfabetismo continua ad essere uno dei maggiori impedimenti alla crescita di intere popolazioni, si pensi all’Africa. Istruzione che “deve essere gratuita nei primi stadi”. A patto ovviamente di potersi permettere di pagare i libri e rette scolastiche che in alcuni casi, come in India, rendono impossibile anche solo entrare nelle scuole, e allora chi può studia per strada grazie all’azione dei volontari.
Il problema forse è che la maggior parte della gente non sa com’era vivere prima che venissero adottati i principi che furono inseriti nella Dichiarazione sui diritti dell’uomo e che sono alla base della società moderna. In molti paesi sviluppati suona strano sentire parlare di dignità, libertà, uguaglianza. O di concetti come solidarietà e giustizia. Eppure si tratta di principi che, nel corso degli anni, sembrano essere sbiaditi. Come l’inchiostro con il quale, il 26 agosto 1789, i padri della Rivoluzione francese scrissero la Dichiarazione sui Diritti dell’Uomo.