Nigera, dove le ricchezze minerarie contrastano con 44 poveri in più al minuto

di C. Alessandro Mauceri

Lo ripetiamo da anni: alla base dei flussi migratori dall’Africa verso l’Europa ci sono motivazioni geopolitiche legate prima di tutto allo sfruttamento di molti paesi africani e all’impoverimento della popolazione. La conferma (l’ennesima) arriva dalla pubblicazione della classifica dei paesi più poveri al mondo pubblicata dalla Brookings Institution. Secondo il centro studi statunitense è la Nigeria ad ospitare il maggior numero di persone in condizioni di povertà estrema, cioè costrette a vivere con meno di 1,9 dollari al giorno (livello che è stato recentemente alzato, quindi i poveri “estremi” nel mondo potrebbero essere molti di più di quanto si pensa). E la Nigeria è uno dei paesi da cui provengono molti dei migranti che cercano di entrare in Europa attraverso il Mediterraneo (seguito da Eritrea, Sudan, Gambia e Costa d’Avorio, tutti paesi in cui il numero di persone in povertà estrema è elevatissimo).
Fino allo scorso record in testa alla classifica c’era l’India con 73 milioni di persone in povertà estrema. La Nigeria ha conquistato il primo posto con 87 milioni. Il dossier ha scatenato dure reazioni in Nigeria: nonostante sia un paese ricco di risorse naturali, tra l’altro è il primo produttore di petrolio del continente africano, quello della povertà è un tema politicamente scottante. Alla pubblicazione della classifica è seguita la dichiarazione del ministro dell’Industria nigeriano Okechukwu Enelamah che ha attribuito l’aumento della povertà alla recessione che ha colpito il Paese e ha lodato le iniziative del presidente Buhari per combattere la povertà.
Diversa l’opinione dei media. Il quotidiano nigeriano Punch ha attribuito la responsabilità di questo stato di cose ad una corruzione endemica che ha impedito di beneficiare delle risorse locali, a cominciare proprio dal petrolio.
A peggiorare la performance del paese africano è anche un altro aspetto: mentre in molti paesi la povertà diminuisce (in India la quantità di persone in povertà estrema si ridurrebbe di 44 unità al minuto), in Nigeria continua ad aumentare, ed ogni minuto ci sono 4 persone in più in povertà estrema.
A confermare questo stato di cose anche gli esperti della Banca Mondiale nel rapporto Povertà e prosperità condivisa 2018, che cerca di mettere insieme il puzzle della povertà: la presentazione ufficiale è prevista per il 17 ottobre, ma sono stati resi noti alcuni dati. Nel mondo i poveri estremi sono 735,9 milioni, il 10% della popolazione. L’analisi dalla BMI si basa su una elaborazione dei dati 2015 attraverso indagini incrociate condotte in nuclei familiari in 164 paesi ogni tre/cinque anni. Incrociando questi calcoli con la crescita economica e le proiezioni demografiche, gli esperti hanno previsto il tasso di povertà globale nel 2018 e la situazione nel 2030.
Ebbene se da un lato la povertà sta diminuendo (nel 1990 c’erano 1.900 milioni di poveri, un quarto di secolo dopo 1.100 persone erano uscite da questa categoria), dall’altro gli obiettivi che ci si era prefissati sono molto lontani dall’essere raggiunti: molti sono quelli che pur non potendo essere classificati in povertà estrema restando comunque “poveri” (tra l’altro parte della performance è dovuta alla decisione di aumentare la soglia di povertà assoluta da 1,5 a 1,9 dollari al giorno a persona!). A questo si aggiunge che i progressi hanno subito un pesante rallentamento . Tra il 2011 e il 2013 la povertà è scesa solo di 2,5 punti percentuali , tra il 2013 e il 2015 il calo era diminuito ancora (1,2 punti percentuali pari a 0,6 all’anno) e, da allora, supponendo che i paesi cresceranno a un tasso simile a quello del passato, la stima è di 1,4 punti in tre anni, che è inferiore a mezzo punto annuale. Segno evidente che le misure adottate non sono più così efficaci come ci si aspettava.
Altro aspetto importante che emerge dal rapporto è la distribuzione geografica e territoriale: mentre fino agli anni ’90, più della metà dei poveri si trovava nell’Asia orientale e nel Pacifico, a partire dal 2010, il rapido miglioramento della Cina ha fatto spostare l’attenzione sull’Africa sub-sahariana. “L’Asia orientale e l’Asia meridionale sono riusciti a crescere più velocemente e, inoltre, sono stati più efficaci nella riduzione della povertà, mentre i progressi nell’Africa sub-sahariana sono stati un po’ più bassi e, soprattutto, non hanno raggiunto quelli che si trovano nella fascia di reddito più bassa”, ha detto Carolina Sánchez-Páramo, direttrice dell’unità per la povertà della Banca Mondiale.
La povertà si sta concentrando in alcune aree geografiche o paesi dove il numero dei poveri è elevatissimo (fattore questo che rende più difficile contrastare questo fenomeno). “La natura della crescita è diversa in molti paesi africani perché c’è un predominio dell’economia dei settori legati alla produzione di materie prime: cresce rapidamente ma non c’è occupazione, ciò non giova alla popolazione e, di conseguenza, la crescita è meno inclusiva”, ha detto la Sánchez-Páramo.
Il risultato è che se nel 2002, l’Africa sub-sahariana ospitava un quarto dei poveri del mondo, nel 2015 ce ne sono più che nel resto del mondo: 413,3 milioni. Dei 27 stati più svantaggiati del mondo, 26 sono nell’Africa sub-sahariana. In generale, esiste una correlazione negativa tra povertà e forza delle istituzioni.
E la situazione potrebbe peggiorare anche a causa del tasso di crescita della popolazione africana (in media più elevato rispetto al resto del mondo): oggi, il 60% di africani hanno meno di 25 anni e la popolazione dovrebbe raddoppiare entro il 2050. a confermare questo effetto anche la Fondazione Bill & Melinda Gates che ha sottolineato che, entro il 2050, l’ 86% dei poveri sarà concentrerà nel continente africano.
La Nigeria è un esempio di ciò che sta avvenndo in molti paesi africani (e che le organizzazioni internazionali non sono riuscite a prevedere o a fermare): pur essendo un paese ricco di risorse naturali non esiste una distribuzione equa dei benefici. Nel 2017, un rapporto della ONG Oxfam e dell’organizzazione Development Finance International ha posto la Nigeria ultima tra 152 paesi nella classifica redatta sulla base dell’impegno a ridurre le disuguaglianze. “È difficile progredire se c’è un’assenza di politiche adeguate”, ha sottolineato Sánchez-Páramo.
In molti paesi africani l’accesso ai servizi finanziari è difficilissimo, il clima economico precario, e lo stato di diritto debole e con una percezione della corruzione elevata. A questo si aggiunge la mancanza di servizi come l’accesso a scuole e una istruzione di qualità (non è un caso se circa un terzo dei minori stranieri non accompagnati giunti in Italia ha riferito di averlo fatto perché nel proprio paese non era possibile studiare). “Siamo preoccupati che queste persone non solo abbiano livelli di consumo e di reddito molto bassi, ma soffrano anche di un’altra serie di carenze non monetarie che influenzano la loro capacità di ottenere un impiego”, ha ribadito la Sánchez-Páramo. L’assenza di centri e servizi sanitari porta alla malnutrizione e alla comparsa di problemi di salute che impediscono il lavoro. Non meno importanti sono i limiti nella qualità dell’acqua e nei servizi igienico-sanitari o la capacità di accedere ai mercati. “Queste persone non solo non hanno reddito, ma affrontano anche una serie di problemi che si rafforzano a vicenda e rendono difficile per loro uscire dalla povertà in modo sostenuto”, ha detto .
A ribadire la gravità della situazione il presidente del Gruppo della Banca Mondiale Jim Yong Kim: “Se vogliamo porre fine alla povertà entro il 2030, abbiamo bisogno di molti più investimenti, in particolare nella costruzione del capitale umano, per contribuire a promuovere la crescita inclusiva che sarà necessaria per raggiungere i poveri rimanenti”.
Una ricerca condotta dall’Overseas Institute Development intitolata Finanziare la fine della povertà estrema ha calcolato che tra i paesi più poveri c’è un deficit finanziario di 125.000 milioni di dollari l’anno nelle aree di salute, istruzione e protezione sociale, che sono fondamentale per ridurre la povertà estrema e rimanere sottofinanziati. Il rapporto sottolinea che, se non verrà intrapresa alcuna azione per porvi rimedio, nei paesi più poveri almeno 400 milioni di persone rimarranno estremamente poveri.
Eppure alla conferenza generale delle Nazioni Unite in corso, pare nessuno dei leader mondiali abbia parlato di tutto questo.