La Moldavia come l’Ucraina

di Dario Rivolta * –

Nessuno vorrebbe ammetterlo ma esiste un forte rischio che ciò che è successo in Ucraina possa ripetersi tale e quale in Moldavia. Le somiglianze sono numerose, a cominciare dalla polarizzazione della popolazione divisa a metà tra russofoni e parlanti rumeno. La differenza linguistica si rispecchia in politica con i primi che non vogliono rompere i tradizionali legami con la Russia e i secondi che spingono per un avvicinamento alla Nato e all’Unione Europea. Le similitudini non finiscono però qui. In Ucraina, gli elettori avevano, a un certo punto, scelto una coalizione guidata da Yushenko e dalla Timoshenko, sostenuta dagli americani e dall’Europa e poi, vista la corruzione dilagante e l’inefficienza del governo, alle successive elezioni avevano cambiato strada, eleggendo il filorusso Janukovich. Ciò accadeva nonostante il dispiegarsi di interferenze americane ed europee sui politici locali e mentre le ong occidentali (o enti governativi americani così travestiti) non risparmiavano generose donazioni alla società civile e alle amministrazioni locali. L’occidente non accettò il cambiamento e sappiamo com’è andata a finire: un colpo di stato travestito da “spontanee” manifestazioni di piazza, la caduta del governo legittimamente (certificato dall’Osce) eletto e infine la guerra civile tuttora in atto in una parte del Paese.
Anche in Moldavia l’appoggio europeo e americano ai partiti anti-russi è in atto da anni e dal 2009 ha ottenuto che la maggioranza dei moldavi scegliesse dei governi favorevoli a un avvicinamento all’Unione Europea e alla Nato. Ciò che i cittadini si aspettavano era la necessaria riforma delle istituzioni, del sistema giudiziario e dell’economia in generale. Sottintesa era l’eliminazione, o almeno la riduzione, di una corruzione dilagante. Purtroppo, così come successe a Kiev, un piccolo gruppo di oligarchi locali ha saputo approfittare dei fondi dispensati dall’Ue e dagli Usa per mantenere il potere che aveva già saputo conquistarsi durante i governi precedenti. I moldavi si sono così resi conto di essere caduti dalla padella nella brace e han deciso di cambiare nuovamente. Lo scorso anno, alle prime elezioni presidenziali dirette, il 55% degli elettori ha scelto un giovane economista, Igor Dodon, portatore di un programma che propugnava apertamente la necessità di tornare a favorire i rapporti del Paese con la Russia. Il prossimo 24 febbraio si svolgeranno le nuove elezioni legislative e tutti i sondaggi suggeriscono che la vittoria dovrebbe andare al Partito Socialista (PSRM) guidato dallo stesso Dodon. Per i filo-europei questo sarebbe un incubo e già si nota come chi teme questo risultato abbia cominciato a mettere in campo tutti mezzi possibili per cercare di scongiurarlo. E’ di pochi mesi fa la decisione parlamentare della maggioranza in carica di impedire le emissioni a quelle televisioni private che trasmettono programmi russi od ospitano talk show su temi politici. L’accusa è di essere uno strumento di propaganda straniera. Naturalmente, la stesa accusa non riguarda quelle televisioni che utilizzano un finanziamento americano di due milioni di dollari per realizzare “programmi locali”. Parallelamente, sono stati attuati intimidazioni e arresti nei confronti di quei giornalisti che si sono permessi di documentare le proteste di piazza organizzate dai partiti di opposizione o che hanno osato lanciare sospetti sulle attività economiche e politiche del potente oligarca Vladimir Plahotniuc. Costui non ha ufficialmente incarichi istituzionali ma tutti sanno che controlla e dirige il partito di maggioranza (PDM) che esprime il Primo Ministro Pavel Filip. Negli ultimi mesi le stazioni di televisioni controllate da Plahotniuc hanno accentuato la loro azione di propaganda pro governativa per cercare di recuperare almeno in parte il consenso già in caduta libera. L’Indice della World Press Freedom con riferimento alla libertà dei media ha piazzato nel 2017 la Moldavia all’ottantesimo posto mondiale mentre 2016 si trovava nella settantaseiesima posizione.
Lo scandalo corruttivo più grande di cui si è avuta notizia nel Paese riguarda però il furto di un miliardo di dollari avvenuto con evidenti corresponsabilità politiche tra il 2012 e il 2014 (sempre sotto un governo “filo-europeo”). Per dare un’idea della dimensione di questa frode, basti ricordare che il Pil dell’intero Paese ammonta a poco più di 8 miliardi di dollari. Di quella cifra si sa essere transitata dapprima attraverso una banca lituana per arrivare poi ai paradisi fiscali del Belize, delle Isole Vergini Britanniche e di Panama. Nonostante lo scoppio dello scandalo, di quella cifra si sono potuti recuperare solamente 60 milioni di dollari.

Igor Dodon.

L’attuale parlamento è composto da 101 deputati e vede una maggioranza formata dal Partito Democratico (PDM) con 42 membri e dal Partito del Popolo Europeo con 9. All’opposizione ci sono il Partito dei Socialisti con 24 esponenti, il Partito Liberale con 9, il Partito dei Comunisti ne ha 6, il Partito Liberal Democratico 5 e 6 sono gli indipendenti eletti nelle liste dei Liberal Democratici e dei Comunisti. Poiché le previsioni indicano che l’elettorato potrebbe favorire una nuova maggioranza per i Socialisti, i soliti think tank “indipendenti” (in prima fila la Jamestown Foundation con base a Washington) hanno cominciato a mettere le mani avanti accusando il Presidente Dodon, capofila di quel partito, di essere una marionetta nelle mani di Putin. Con l’intenzione di evitare di fare la fine di Janukovich, lo stesso Dodon si è premurato di far sapere che l’obiettivo del nuovo Governo sarà di aderire all’Unione Economica Euroasiatica ma di volere, nello stesso tempo, confermare anche l’Accordo di Associazione firmato nel 2014 dai precedenti Governi. In altre parole, per cercare di evitare in caso di sua vittoria, l’apparizione di proteste”spontanee” come successe a Kiev, il presidente propugna una Moldavia come luogo di dialogo tra Mosca e Bruxelles.
Esiste però il rischio che il suo atteggiamento dialogante non sia considerato una garanzia sufficiente da chi “Vuolsi così colà dove si puote” . Un brutto segnale di ciò che potrebbe accadere si è visto in occasione della decisione dell’attuale Governo di attribuire agli Stati Uniti ben cinque ettari di terreno nella capitale Chisinau per una seconda (e aggiuntiva) sede della loro ambasciata. Considerata la dimensione irrisoria del Paese (solo 31000 km quadrati, poco più grande della Lombardia) e il ridotto numero degli abitanti (3,5 milioni) ci sarebbe da domandarsi quanto personale, e perché, gli Usa vogliano stanziare in Moldavia. Proprio essendosi posta questa domanda e non avendo chiaro a chi siano destinati o dove finiscano i soldi della vendita di quel terreno agli Usa, il presidente Dodon ha deciso di non controfirmare la legge relativa. Invece di dare spiegazioni o di prendere atto di una facoltà che la Costituzione attribuisce alla Presidenza, il partito di maggioranza ha deciso di cambiare la Costituzione e togliere al Presidente quel potere.
Se queste sono le premesse e se, come attualmente previsto, gli elettori moldavi sceglieranno di togliere la fiducia ai partiti filo-Nato e filo-europei, il rischio che la situazione Ucraina si possa ripetere fino alle estreme conseguenze anche in Moldavia diventa reale.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.