Tonello sul Trump 1, ‘Avventuriero della politica, può però contare su uno zoccolo duro di sostenitori’

a cura di Gianluca Vivacqua

Da una parte c’è The Donald, in cerca di una personale fase 2 alla Casa Bianca. Dall’altra abbiamo l’obamiano Biden che, quasi fosse il fantasma di Cesare che tormenta le notti del Bruto plutarcheo, per Trump è l’incubo peggiore. La Filippi trumpiana si chiama Kiev, ed è lì che Biden minaccia di ridare appuntamento al suo avversario, in campagna elettorale. E così, in un clima quasi da Seconda guerra civile (Condoleeza Rice che potrebbe passare al campo democratico fa scalpore almeno quanto un Tito Labieno che, inaspettatamente, tradisce Cesare per schierarsi con Pompeo), gli Stati Uniti più che debilitati dal coronavirus si preparano a scegliere tra due possibili strade: cancellare il film dei post presidenziali censurati da Twitter, delle proteste antirazziste represse con la forza, dello scontro-non scontro con la Cina, delle rinnovate tensioni con l’Iran, dell’impeachment mancato, oppure semplicemente firmare per dare il via al sequel. È chiaro che Trump non può più avvantaggiarsi del ruolo di homo novus che fece la sua fortuna quattro anni fa, ma chi lo vede stracotto probabilmente esagera nel valutare le sue bruciacchiature sparse.
È quello che pensa anche Fabrizio Tonello, professore di Scienze dell’Opinione Pubblica all’Università di Padova e già Visiting Fellow della Columbia University di New York. Un esperto di storia politica americana.

– Professore, che valutazione complessiva si può dare al primo mandato di Trump?
Tragicamente, potremmo dire che il bilancio della prima esperienza presidenziale di Trump si incrocia con quello della pandemia da coronavirus. In un certo senso è come se l’emergenza sanitaria si sobbarcasse il lavoro che in genere spetta agli analisti, e facesse un consuntivo al posto loro. In effetti, i numeri che l’epidemia ha fatto registrare in territorio statunitense, oltre 2 milioni di contagi e un totale di morti che promette di arrivare a 200mila, disfatta assoluta per un Paese che non aveva pianto così tanti caduti sommando tutte le guerre dalla Corea a oggi, sembrano la metafora perfetta dell’operato dell’amministrazione Trump e dei governi degli Stati federali più trumpiani (che, non per caso, si trovano ora a essere “puniti” da una recrudescenza violenta del focolaio virale)“.

– Al suo modello dichiarato, Ronald Reagan, quanto si può dire che Trump sia stato fedele?
Modello a parole, naturalmente. Reagan, ben prima di diventare presidente, aveva una storia politica e una militanza di lungo corso nelle file del Partito Repubblicano. Trump, uomo d’affari proveniente dal settore dell’edilizia, non ha fatto altro che scalare il partito come fosse un’azienda“.

Donald Trump.
– Perché Trump suscita sentimenti di avversione di massa senza precedenti nella storia dei presidenti Usa? Come grande antipatico può assomigliare un po’ a Nixon?
C’è da dire questo: Trump compensa quella che può essere percepita come una forte impopolarità trasversale con una base di consenso che resta solida, e continua a oscillare tra il 40 e il 46%. È chiaro che queste percentuali andranno viste al ribasso, alla luce del disastro sanitario. Ma la verità è che l’attuale presidente può contare su un seguito altamente fidelizzato, una tifoseria vera e propria. Di sicuro, Nixon tifosi non ne aveva“.

– Ciò che si apprezzava del Trump imprenditore e milionario diventa per lui un boomerang ora che è riuscito a diventare un politico potente: ma il trumpismo è un berlusconismo d’oltre Oceano o ci sono differenze?
Diciamo che il trumpismo ha in comune col berlusconismo il fatto di essere un fenomeno che si lega a un’ascesa facilitata da un certo qual potere mediatico. Dopodiché, Berlusconi sembra già un uomo appartenente a un’altra epoca, visto che poteva contare su un impero televisivo e un arsenale di propaganda potenti ma non su una vera e propria strategia manipolativa dell’intero ciclo delle notizie, l’arma che invece ha avuto in mano Trump grazie al progresso della tecnologia“.

– Si può parlare di una dottrina Trump in politica estera?
No. Trump, come rivela il libro-bomba di John Bolton (ex consigliere per la Sicurezza Nazionale di Trump, il suo libro si intitola “The Room Where It Happened”, ndr), ha sfruttato la presidenza solo per arricchirsi ulteriormente, lasciando, in sostanza, irrisolte le grandi questioni della politica interna ed estera. Sono proprio i grandi pasticci internazionali, ultimo ma non ultimo l’Ucrainagate, a dimostrare quanto, in fondo, poco importi a Trump della sua stessa rielezione. E l’emblema di quel profondo conflitto di interessi che egli ha portato alla Casa Bianca è l’hotel di sua proprietà a pochi passi dalla dimora presidenziale a Washington (il Trump Hotel, ndr), la location preferita per i suoi incontri al vertice“.