Abkhazia. E’ crisi politica: i manifestanti obbligano il presidente Bzhani a dimettersi

di Giuseppe Gagliano e Enrico Oliari

La Repubblica di Abkhazia è al centro di una grave crisi politica e sociale che ha raggiunto il culmine con le dimissioni del presidente Aslan Bzhania. La crisi è iniziata a settembre, quando la Russia ha annunciato un drastico taglio dei finanziamenti alla Repubblica accusando il governo abkhazo di non rispettare gli accordi bilaterali. Mosca ha imposto inoltre il pagamento dell’energia elettrica a tariffe commerciali, peggiorando una situazione economica già fragile. A ottobre un accordo firmato tra il ministro russo dello Sviluppo economico, Maxim Reshetnikov, e il ministro abkhazo dell’Economia, Kristina Ozgan, ha previsto l’autorizzazione per le aziende russe a sviluppare progetti di investimento nella regione, in particolare nel settore immobiliare e turistico. Questo accordo però ha sollevato forti critiche da parte dell’opposizione, che temeva un’eccessiva dipendenza economica dalla Russia e la perdita di controllo sui beni strategici del Paese.
Le tensioni sono esplose il 12 novembre, quando cinque esponenti dell’opposizione sono stati arrestati dalla polizia a Sukhumi dopo aver partecipato a una protesta contro l’accordo sugli investimenti russi. La manifestazione, tenutasi a Gudauta, aveva l’obiettivo di bloccare la ratifica dell’accordo da parte del Parlamento. Gli arresti hanno scatenato una reazione immediata: migliaia di manifestanti si sono radunati davanti alla sede dei servizi di sicurezza nella capitale, chiedendo la liberazione degli arrestati. I gruppi di opposizione hanno anche bloccato i ponti sui fiumi Gumista e Kodori, interrompendo le principali vie di comunicazione. Il governo abkhazo ha dichiarato lo stato di emergenza, ma le tensioni non si sono placate. La situazione è stata aggravata dalla cosiddetta “Legge sugli appartamenti”, che prevede agevolazioni per l’acquisto di immobili da parte di non residenti, con i cittadini russi come principali beneficiari. Questa legge è stata vista come un’ulteriore concessione a Mosca e ha alimentato il malcontento tra la popolazione.
Il 15 novembre il Parlamento abkhazo ha rinviato la ratifica dell’accordo sugli investimenti a causa delle proteste, mentre gli oppositori hanno occupato diversi edifici governativi. I negoziati tra le autorità e i manifestanti sono iniziati il 18 novembre e sono durati oltre otto ore. L’accordo raggiunto prevedeva che il presidente Aslan Bzhania rassegnasse le dimissioni in cambio dell’evacuazione degli edifici occupati. Il giorno successivo il presidente ha lasciato il suo incarico aprendo la strada a elezioni anticipate. Il vicepresidente Badra Gunba è stato nominato presidente ad interim e ha immediatamente destituito il primo ministro Alexander Ankvab, sostituendolo con l’ex premier Valery Bganba. I ministri attuali manterranno le loro cariche fino alla formazione di un nuovo governo. Secondo la Reuters i manifestanti non sono contrari ai legami con Mosca, ma accusano Bzhania di aver usato tali rapporti per consolidare il proprio potere personale.
La Russia, pur dichiarando il proprio sostegno all’ordine costituzionale in Abkhazia, ha manifestato irritazione per la lentezza della regione nell’adempiere agli accordi bilaterali. Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, ha ribadito che l’Abkhazia rappresenta una priorità strategica per Mosca, invitando alla normalizzazione della situazione. Tuttavia le tensioni evidenziano il crescente astio della popolazione verso l’ingerenza russa, un sentimento che si è manifestato anche attraverso attacchi verbali nei confronti dell’ambasciatore russo.
L’Abkhazia, autoproclamatasi indipendente nel 1992 con il sostegno di Mosca, è riconosciuta solo da Russia, Nicaragua, Venezuela, Nauru e Siria, mentre la comunità internazionale la considera parte della Georgia. Dopo la guerra russo-georgiana del 2008, Mosca ha stabilito basi militari nella regione e ne sostiene l’economia. La crisi attuale rappresenta una sfida per l’Abkhazia, che si trova a dover bilanciare la propria autonomia politica con la dipendenza economica dalla Russia in un contesto di isolamento internazionale. Le dimissioni di Bzhania, il terzo presidente abkhazo rimosso dal 2008, dimostrano la fragilità del sistema politico della Repubblica e la difficoltà di conciliare le aspirazioni di indipendenza con le pressioni esterne.
La crisi politica dell’Abkhazia arriva in un momento in cui il presidente georgiano presidente Salome Zurabishvili ha chiesto alla Corte costituzionale l’annullamento delle elezioni parlamentari che hanno consegnato in modo deciso la vittoria ai filorussi di Sogno Georgiano. L’Unione Europea ha accusato elezioni farsa, e Zurabishvili ha parlato pubblicamente di interferenze da parte del Cremlino nel processo elettorale, un’accusa respinta da Mosca. Nelle strade di Tbilisi si sono visti cortei sia filoeuropeisti che filorussi, ma il rischio è che la piccola Georgia faccia la fine dell’Ucraina: entrambi i paesi sono stati candidati all’adesione alla Nato nel 2008 al vertice di Bucarest, entrambi hanno una realtà russofona sul territorio ed entrambi hanno le opposizioni al soldo delle potenze straniere. Il sospetto è che lo stesso caos politico in corso in Abkhazia potrebbe essere orchestrato o quantomeno sostenuto da fuori. L’unica differenza sta nel fatto che l’Ue vorrebbe includere la Georgia, che a differenza dell’Ucraina si trova in Asia.