Accordo sul nucleare iraniano in stallo, in attesa di conoscere le intenzioni di Raisi

di Enrico Oliari

E’ lì, fermo nel palazzo viennese dell’Aiea, nonostante da Berlino fonti governative abbiano manifestato un certo ottimismo affermando che il tema sia dibattuto nei palazzi del potere di Teheran. L’accordo sul nucleare iraniano (Jpcoa), stretto dalla Repubblica Islamica dell’Iran e dal “5+1” (Usa, Gb, Cina, Francia, Russia + Germania (Ue)) nel 2015 e cassato per la parte Usa da Donald Trump solo tre di anni dopo, appare in una posizione di stallo. Con tutta probabilità i vari attori stanno attendendo segnali proprio dall’Iran, dove il nuovo presidente ultraconservatore Ebrahim Raisi è salito al potere prendendo il posto del moderato Hassan Rohani.
Quello che è certo è che le parti in questo momento stanno vedendo chi fa la prima mossa: Trump non sono aveva riapplicato alla Repubblica Islamica dure sanzioni, ma aveva anche costretto i paesi alleati ad interrompere i rapporti commerciali, ed a poco ha giovato all’economia iraniana aprire nuove rotte per l’esportazione di idrocarburi verso oriente. La risposta dell’Iran al ritiro degli Usa dal Jpcoa non è stata solo quella di fare altrettanto, bensì anche di avviare una serie di progetti che hanno portato allo stoccaggio di tonnellate di uranio, nonché alla costruzione e messa in funzione di 164 centrifughe IR-6 e di un’altra delle 30 IR-5 già disponibili.
L’eredità di Trump ha messo in difficoltà il presidente in carica Joe Biden, il quale vorrebbe comunque scongiurare la bomba atomica iraniana, mentre è palese che una delle “condicio sine qua non” richieste da Teheran sia un accordo vincolante, ovvero che resti a prescindere dagli umori di chi sale alla Casa Bianca.
Biden però vorrebbe andare oltre aggiungendo all’accordo anche il divieto di possedere missili balistici, dai Dezful presentati un paio di anni fa ai più classici Khorramsahar, inchiodando il paese mediorientale a una capacità di difesa e di deterrenza mediocre e nettamente inferiore a quella israeliana. Difficile che Teheran possa accettare tale postilla, e già il segretario di Stato Usa Antony Blinken ha fatto sapere che “le trattative non andranno avanti per sempre”, anche perché di questo passo anche l’Iran avrà la sua bomba atomica.
Raisi aveva promesso in campagna elettorale che avrebbe tolto le sanzioni e migliorato le condizioni degli iraniani, ma senza accordo la cosa si presenta molto difficile. Il nuovo presidente è salito al potere solo pochi giorni fa, ma già si trova a dover risolvere sfide sociali importanti che vanno dalla corruzione, al costo della vita, all’alto tasso di disoccupazione, e a dirimere pressioni interne ed esterne non da poco, dalla “guerra delle petroliere” alle proteste di piazza, per cui si teme la sanguinosa repressione come era stato quando era procuratore generale.
Anche gli Usa sono tuttavia in una situazione scomoda: non potendo intervenire “manu militari”con scuse farlocche com’è stato per Afghanistan Iraq, due guerre che hanno destabilizzato l’aera, martoriato popolazioni e che non hanno portato risultati concreti se non implementare le rendite dei fabbricanti di armi, oltre le sanzioni non possono andare, con il rischio che l’Iran non fermi la sua corsa alla bomba nucleare.