Afghanistan. Attentati e scontri a fuoco: l’offensiva talebana per aumentare la pressione sugli Usa

In vista della ripresa delle trattative di Doha.

di Guido Keller –

Una base dell’intelligence attaccata, un kamikaze fa strage di studenti, un’offensiva durata 5 giorni a Ghazny con centinaia di vittime e una caserma assaltata a Baghlan: negli ultimi giorni l’Afghanistan è interessato da una crescita consistente delle ostilità in quella che ormai è una realtà che vede tre fronti, con i talebani che non sono stati per nulla sconfitti dall’intervento di Usa e alleati, tra cui l’Italia, iniziato 17 anni fa, con il governo e l’esercito regolare in costante difficoltà politica prima che militare, e con l’Isis che si sta affermando con sanguinosi attacchi al fine di prendere il controllo di parti del paese e quindi di allargare la sua potenza di azione ai paesi limitrofi dell’Asia centrale.
Una recrudescenza che va letta nella debolezza dei colloqui che gli Usa stanno avendo non da oggi a Doha, in Qatar, con la rappresentanza talebana al fine di permettere la propria uscita dal pantano in cui si sono trovati: i talebani non vogliono avere a che fare con Kabul, mentre i negoziatori Usa insistono sulla necessità di coinvolgere il presidente Ashraf Ghani e il governo di Abdullah Abdullah in una futura ricomposizione politica del paese.
Ieri un kamikaze si è fatto esplodere in un istituto-collegio di Kabul dove centinaia di studenti neodiplomati si preparavano per il test di accesso alle università: il bilancio è stato di 34 morti e di 67 feriti e, per quanto ancora non sia arrivata rivendicazione dell’attacco, il fatto che è stata colpita una struttura situata nella parte sciita della città nonché le modalità dell’azione terroristica rimandano quasi certamente alla responsabilità dell’Isis, che difatti poi ne ha diffuso la rivendicazione.
Nella giornata di oggi è invece stato preso di mira nella capitale un centro di addestramento dell’intelligence situato nel quartiere di Qala-e-Wazir: a colpire sono stati talebani asserragliati su un edificio in costruzione facente parte dello stesso complesso dell’intelligente; sconosciuto al momento il numero delle vittime.
Una base militare è invece stata attaccata, sempre dai talebani, nella provincia settentrionale di Baghlan, e negli scontri sono rimasti uccisi 35 militari e 9 poliziotti , cifre confermate dal portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid, il quale ha spiegato su Twitter lo scopo di tenere sotto pressione le forze governative in varie province del paese.
Si è invece conclusa la battaglia durata 5 giorni a Ghazny, città di 270mila abitanti situata nella parte centro-orientale del paese, a 150 km da Kabul: l’attacco in forze dei talebani, almeno un migliaio, è stato respinto grazie all’intervento aereo statunitense che ha compiuto diversi bombardamenti, ma il bilancio finale delle vittime è altissimo, oltre 200 morti fra i militari regolari e 220 tra i combattenti talebani. Durante l’attacco gli abitanti sono rimasti nascosti nelle case, ma è saltata l’energia elettrica ed è stata interrotta la fornitura dell’acqua potabile come pure quella dei generi alimentari. I civili rimasti uccisi sarebbero una ventina.
Attentati, scontri a fuoco, interessi stranieri: prima i sovietici ed oggi gli americani si sono trovati imprigionati tra le gole dell’Afghanistan in conflitti inconcludenti, tanto che dal 2001 ad oggi l’unica cosa concreta che la Nato ha ottenuto è il controllo effettivo di una parte della capitale, in un paese di 34 milioni di abitanti e di 652.864 chilometri. Da qui la necessità di un negoziato paradossale, con quel nemico che ha abbattuto le Torri Gemelle e che impone alle donne di portare il burqa, almeno queste erano le motivazioni di un attacco su cui ci sarebbe da dire e da scrivere molto. A partire dal proposito di trasformare il paese in una zona di influenza Usa in uno scacchiere che vede lo zio Sam avere basi dal Marocco al Kyrgizistan, con le eccezioni di Libia (guerra), Siria (guerra), Iraq (guerra), Iran (se ne sta parlando) e appunto Afghanistan (guerra).
Intanto nel paese dove gli attentati sono una quotidianità, una normalità con cui convivere, si continua a sperare in un futuro migliore e a morire, come è successo ai 34 ragazzi della scuola-collegio di Kabul.