Afghanistan. I talebani rassicurano la comunità internazionale, ma in pochi si fanno illusioni

La realtà talebana è composita, vi sono gruppi autocefali imprevedibili.

di Guido Keller

Se gli americani avessero voluto, l’Afghanistan non sarebbe finito in mano ai talebani. Tuttavia l’accordo messo nero su bianco a Doha dagli emissari di Donald Trump e dai capi talebani era un atto obbligato, dal momento che dopo vent’anni di guerra Usa e alleati si erano sostanzialmente impantanati, senza riuscire ad andare oltre i confini delle principali città. Una guerra che era già costata molto, non solo in termini di vite umane: a pagare i quasi 2 trilioni di dollari erano i contribuenti, mentre a guadagnare era stata solamente la florida industria statunitense degli armamenti.
Tutto ruota quindi attorno al documento di Doha di cui ancora si sa pochissimo, segno di un cedimento che ancora ci si ostina a non far passare per sconfitta, tradottosi con le terribili scene degli afgani che si aggrappano alle ruote degli aerei pur di riuscire a scappare. Che gli americani avessero girato le spalle al governo fantoccio di Kabul e riempito gli afgani di pie illusioni era cosa appurata già nel 2020, dal momento che le trattative in Qatar vedevano escluso chi ufficialmente governava l’Afghanistan, ma un altro aspetto problematico, forse sottovalutato, è con chi si erano svolte le trattative.
Il leader dei combattenti, il mullah Abdul Ghani Baradar, non ha il pieno controllo dell’insieme talebano, dal momento che si tratta di un gruppo composito e spesso frammentato in sottogruppi autocefali, che non necessariamente rispondono a quanto stabilito nei colloqui con gli Usa.
Zabihullah Mujahid, portavoce dei talebani, ha affermato oggi in conferenza stampa che “ci assicureremo che l’Afghanistan non sia più un campo da guerra”, ed ha garantito che “abbiamo deciso di perdonare chi ha combattuto contro di noi, non vogliamo ne’ nemici esterni, ne’ nemici interni”.
I talebani continuano quindi a dare rassicurazioni alla comunità internazionale, ad esempio affermando che, come concordato a Doha, non verrà dato in alcuna occasione supporto a gruppi terroristici come nel caso di al-Qaeda, ma anche in questo caso si tratta di una promessa da prendere con le pinze proprio per quei sottogruppi autocefali di cui poco si conosce.
E’ invece sibillina la garanzia data sullo status della donna: “le donne potranno lavorare e studiare anche all’università, ma sottostando alle regole della Sharia”, private quindi dell’autodeterminazione e poste sotto il volere del marito. Non sarà obbligatorio il burqa, in realtà vestito tradizionale locale, mentre lo sarà lo l’hijab, come già avviene in molti paesi islamici.
Un altro portavoce dei talebani, Suhail Shaheen, ha fatto sapere che verrà rispettata la proprietà privata, che vi sarà presto un’amnistia generale e che non vi saranno violenze, ma in molti sia dentro che fuori l’Afghanistan non si fidano e temono che siano solo promesse funzionali ad accreditare il nuovo regime presso la comunità internazionale.
In molti stanno tentando la fuga dal paese, non solo presso l’aeroporto di Kabul, dove i talebani sono intervenuti per disperdere le migliaia di afgani che cercavano di garantirsi un biglietto per l’occidente. C’è chi scappa verso il Pakistan, chi verso altri paesi confinanti. Per bloccare il flusso di migranti verso l’Iran è stata iniziata la costruzione di un muro che dovrebbe raggiungere i 300 chilometri, ma nonostante tutto il ministro degli Esteri turco Mevluto Cavusoglu ha fatto sapere di sentirsi rassicurato dalle garanzie offerte dai talebani.
Gli Usa intanto continuano il ponte aereo per evacuare i collaboratori afgani, alcune migliaia sono già oltreoceano, stessa cosa gli altri paesi tra cui l’Italia, che conta di ospitare circa 200 tra interpreti e addetti alla logistica con le loro famiglie. 5mila militari statunitensi sono ancora nel paese per garantire le operazioni di imbarco.
Russia e Cina, che si sfregano le mani per la partenza degli Usa avendo ora il via libera per affari ed influenze, hanno mantenuto aperte le loro ambasciate, insieme a Pakistan e Iran.