Afghanistan: Trenta annuncia il ritiro dell’Italia, Moavero Milanesi non ne sa niente

C’è confusione nel governo italiano, mentre l’unica cosa certa è che la guerra è persa.

di Enrico Oliari –

Non è sempre facile interpretare la linea del governo italiano in materia di politica estera, si veda il recente caos sull’appoggio o meno all’autoproclamato presidente del Venezuela Juan Guaidò in un quadro europeo di paesi ben più decisi e determinati. Il nuovo caso riguarda l’annunciato avvio del ritiro dal teatro bellico afgano, come stanno gradualmente facendo gli Stati Uniti. Ma se ieri il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, “ha dato disposizioni al Coi (Comando operativo di vertice interforze, ndr) di valutare l’avvio di una pianificazione per il ritiro del contingente italiano in Afghanistan”, oggi la Farnesina “ha confermato – si legge nella nota – di non essere mai stata messa al corrente delle intenzioni del ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, prima delle sue dichiarazioni alla stampa relative alla decisione di ritirare il contingente militare italiano dall’Afghanistan”. Da Gerusalemme, dov’é in visita, il ministro Enzo Moavero Milanesi ha detto ai giornalisti che “Lo apprendo adesso, (Trenta) non ne ha parlato con me”, eppure ci si aspetta che una decisione sì importante, che interessa una missione di 17 anni, che impegna al momento 900 militari ad Herat, che è costata all’Italia 54 morti e fiumi di denaro e che è inserita in un quadro Nato, debba essere discussa in un consesso governativo.
L’annuncio di Trenta è forse legato alle intenzioni Usa sul disimpegno espresse da Donald Trump, ma gli accordi fra gli Stati Uniti ed i talebani, frutto di lunghi incontri in Qatar e la cui bozza l’inviato della Casa Bianca Zalmay Khalilzad ha portato al presidente Ashraf Ghani, riportano della permanenza di basi militari a stelle e strisce anche dopo il ritiro.
Certo è che l’Afghanistan per la Nato è stato lo stesso pantano nel quale si ritrovarono i sovietici dal 1979 al 1989, ed il bilancio dopo 17 anni di guerra a cui ha preso parte l’Italia, seppure ufficialmente solo per la formazione di militari e poliziotti, è quello di un nuovo Vietnam: a guadagnarci sono stati senza dubbio i produttori di armi e di beni logistici, mentre il governo appoggiato dalla Nato controlla la capitale e pochi territori a macchia di leopardo; se era il terrorismo che bisognava combattere, questo è esploso con ancora più virulenza, ed oggi il terzo attore dell’Afghanistan è l’Isis, che sta cercando di espandersi e da lì riversarsi nel paesi vicini dell’Asia centrale.
Il prezzo delle vite umane è stato elevato: accanto ai 12mila morti della coalizione ed ai 65mila delle forze di resistenza talebana (o “terroristi”, a seconda della retorica) vi è un elevatissimo numero delle vittime civili, spesso rimaste coinvolte in attentati o in attacchi dei droni Usa: cifre ufficiali ancora non ve ne sono, ma gli analisti le fanno oscillare tra 140mila e 340mila morti.
Il tutto, insomma, per una guerra persa, il cui obiettivo era forse quello di garantire la presenza Usa nel paese, dall’indiscutibile posizione strategica.