Africa e Federazione Russa: un rapporto interessante anche per l’occidente

di Lorenzo Pallavicini

In un’epoca che pare andare verso la nuova contrapposizione tra blocchi, quello occidentale rinforzato dai paesi dell’Est Europa in passato sotto la Cortina di ferro e quello russo a trazione cinese, l’Africa diventa un terreno di contesa diplomatica ed economica.
Il conflitto in Ucraina infatti da parte della Federazione Russa è visto anche come uno scontro tra due modelli, quello occidentale delle democrazie liberali e quello autocratico, che vede da parte dei russi la volontà di propagare un sistema economico e sociale alternativo rispetto a quello ad egemonia americana.
L’Africa ha già indirettamente giocato un ruolo nel conflitto ucraino. Uno dei pochi accordi funzionanti tra Federazione Russa e Ucraina, grazie alla mediazione dell’ONU e della Turchia, è quello sulle esportazioni del grano ucraino, essenziale per la dieta alimentare di tanti paesi africani, senza il quale si avrebbero conseguenze sulla popolazione del continente e con Mosca che non può inimicarsi tali realtà.
In chiave demografica il continente africano è destinato nel futuro a pesare di più, dal momento che i tassi di natalità sono assai elevati rispetto ai paesi occidentali, con il 60% degli africani di età inferiore a 24 anni e la possibilità di superare i due miliardi di abitanti entro un decennio.
In secondo luogo l’Africa ha risorse naturali essenziali per lo sviluppo tecnologico mondiale, dai microchip ai compressori, con presenza di terre rare e minerali, ad esempio il tantalio o il coltan, utili per la Federazione Russa anche per aggirare le sanzioni occidentali sul fronte tecnologico.
Da anni la Federazione Russa ha notevoli interessi in Africa pure dal punto di vista militare tramite il gruppo paramilitare privato Wagner legato ad Evgenji Prigozin, intervenuto nel conflitto armato nella Repubblica Centrafricana e nel Mali per dare appoggio ai locali governi, con tali paesi che rischiano di passare ancora di più sotto l’influenza russa.
Persino tra eserciti ufficiali vi sono cooperazioni interessanti. L’esempio più immediato sono le esercitazioni navali congiunte tra Federazione Russa e Repubblica del Sudafrica, tenutesi queste settimane nel paese africano nonostante alcune proteste di cittadini locali, con Pretoria che è anche membro dell’aggregato geoeconomico dei BRICS, unione che comprende Cina, India, Brasile e Federazione Russa.
Il continente africano, da quando vi è stata la decolonizzazione, ha preferito, salvo eccezioni, oscillare tra i due poli e la gran parte dei paesi africani è membro del Movimento del paesi non allineati, fondato nel 1955 con la Conferenza di Bandung, in Indonesia, per tutelare gli stati che non volevano subire influenze dalle due superpotenze della guerra fredda, Stati Uniti e Unione Sovietica.
Proprio a causa di questa “neutralità” tra occidente liberale e autocrazia russa a trazione cinese, nessun paese africano ha aderito alle sanzioni economiche occidentali e anche sulla risoluzione ONU votata a marzo 2022, sulle “Conseguenze umanitarie dell’aggressione contro l’Ucraina” che chiede “l’immediata cessazione delle ostilità da parte della Russia, in particolare di eventuali attacchi contro civili”, vi sono state astensioni importanti di paesi africani come Sudafrica, Angola, Mali, Etiopia, Congo, Algeria.
La capacità di isolare diplomaticamente la Federazione Russa è una delle chiavi nel conflitto russo ucraino e non è un caso che le scorse settimane il capo della diplomazia russa, Sergej Lavrov, si sia recato in visita in diversi paesi africani, a partire dal Sudafrica, per poi muoversi verso Botswana, Angola, Tunisia, Mauritania, Algeria, Marocco, Egitto, tutti attori che possono giocare un ruolo importante dal punto di vista diplomatico, economico e militare.
Per l’occidente appare cruciale lavorare sul piano commerciale e diplomatico per evitare che l’Africa possa subire l’influenza della Federazione Russa e, sullo sfondo, della Cina. Negli ultimi due decenni , infatti, Pechino ha assunto un ruolo da kingmaker nello scacchiere africano, con l’acquisto di proprietà minerarie, concessioni su porti, ferrovie e infrastrutture strategiche che hanno contribuito ad alimentare il colosso cinese e a favorirne la capacità di influenza.
Un buon esempio di politica occidentale di sostegno alla emancipazione africana è fornito proprio dall’Italia, con il ruolo della partecipata ENI sempre più forte in Africa, che oltre a garantire la copertura energetica al nostro paese, tenta di creare uno sviluppo umano e sociale nei territori, riducendo le influenze esterne di russi o cinesi e contribuendo ad archiviare la stagione coloniale che porta ancora diversi paesi africani a guardare con qualche diffidenza alle potenze occidentali.
Il cosiddetto piano Mattei, enunciato lo scorso mese ad Algeri dalla premier italiana Meloni, può essere un inizio, ma va accompagnato dalla intera Ue anche su aspetti come i fenomeni migratori, i mutamenti climatici, la lotta al terrorismo, le infrastrutture, altrimenti si rischia di non creare una piena emancipazione del continente africano, essenziale al fine che esso non si faccia sedurre dalle lusinghe russe e cinesi.
Per gli Stati Uniti e l’Europa è decisivo evitare che in Africa Mosca trovi appoggi commerciali, geostrategici e sostegni politici determinanti anche nell’ambito delle Nazioni Unite, elementi che ad oggi hanno frenato la portata delle sanzioni economiche occidentali e non permettono un completo isolamento internazionale della Federazione Russa.