di Francesco Giappichini –
Secondo alcuni analisti, certi eventi culminati nelle ultime settimane dimostrerebbero che la forza attrattiva della Russia in Africa è in calo, o che comunque l’offensiva seduttiva sarebbe in affanno. Si rimarca cioè che lo scenario è più complesso, rispetto alla nota e suggestiva rappresentazione dello storico francese Gérard Prunier, (secondo cui le nuove potenze calano, come avvoltoi, a divorare la carcassa della Françafrique: l’impero neo-coloniale francese in declino). Tra le vicende citate, emerge in primis l’iniziativa del ministro degli Affari esteri russo, Sergej Viktorovič Lavrov. Questi ha appena concluso il sesto tour nel Continente negli ultimi due anni, e questa volta facendo rotta sui Paesi «moins convaincus»: le Nazioni che certa stampa sbrigativamente classifica in bilico, sotto il profilo del collocamento geopolitico.
Secondo questa narrazione, il viaggio avrebbe rappresentato un tentativo velleitario di persuasione, sintomo di nervosismo: se si esclude la visita lampo in Burkina Faso, Paese arciconvinto del sostegno del Cremlino, né la Repubblica del Congo, né il Ciad ma neppure i golpisti guineani, al di là degli ammiccamenti ai russi, si sognerebbero mai di recidere gli stretti legami con la Francia. Si segnala poi il gran rifiuto dell’Algeria, che pur legata a Mosca da relazioni «di importanza strategica» risalenti all’epoca coloniale e alla Guerra fredda, in maggio ha manifestato all’alleato euroasiatico tutta la propria contrarietà, rispetto al dispiegamento dell’Africa corps nella sua area d’influenza.
In particolare, gli algerini accusano il distaccamento dell’ex Gruppo Wagner in Mali di aver promosso la denuncia dell’Accordo di Algeri, di aver supportato la recente offensiva maliana contro le milizie autonomiste del territorio settentrionale dell’Azawad (vicine all’Algeria), e in ultima analisi di destabilizzare un’area a ridosso del comune confine. Si evidenzia quindi il caso del Kenya, un attore regionale che punta a una sempre maggiore integrazione col fronte occidentale: a fine maggio gli Stati Uniti hanno designato il Paese come “Alleato non-Nato”, in inglese Major non- North atlantic treaty organization ally (Mnna). Uno status che in Africa condivide solo con Tunisia, Marocco ed Egitto, e che a livello globale è concesso a Paesi storicamente amici: Filippine, Israele, e lo stesso Brasile.
E andrebbe letto in tal senso anche l’impegno per l’invio di un contingente di peacekeeping (mille agenti di polizia) nella martoriata Haiti. A certificare il calo dell’appeal russo, secondo queste analisi, anche il successo del recente vertice tra Corea del Sud e Africa (2024 Korea-Africa summit): un’iniziativa del presidente atlantantista Yoon Suk-yeol, noto per vantare la personale risolutezza nei rapporti con Pechino. Nell’occasione, Seul ha promesso di concludere accordi che spaziano dalle forniture minerarie ai progetti infrastrutturali. Una vittoria, per il capo dello stato asiatico, quantomai necessaria, a seguito dei recenti rovesci della sua Amministrazione: dalla sconfitta nel voto legislativo di medio termine, al mancato invito al G7 (Gruppo dei Sette) pugliese. Se però queste ricostruzioni sono spesso ardite, gli osservatori concordano sulla scarsa seduzione del Continente presso i grandi investitori, tra cui l’Africa non andrebbe più di moda. Al netto della crescente rilevanza strategica, i pur tangibili miglioramenti macroeconomici sono troppo lenti e non compensano i rischi d’instabilità politica.