Ai giovani arabi piace la Cina

di C. Alessandro MAuceri

Ormai non ci sono più dubbi: l’asse dell’economia mondiale si è spostato a est. Verso l’Asia. Verso l’India, da qualche mese il paese più popolato del pianeta, secondo le Nazioni Unite. Ma soprattutto verso la Cina, ormai leader mondiale in molti settori.
Anche nella popolarità. Almeno stano ai risultati di un recentissimo sondaggio gestito da Arab Youth Survey e realizzato dall’ASDA’A BCW una società con sede a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti.
Il sondaggio 2023, giunto alla 15ma edizione, ha previsto interviste a 3.600 giovani leader di età compresa tra 18 e 24 anni provenienti da 53 città in 18 paesi arabi. Scopo del sondaggio condotto dai giovani arabi fornire un quadro di come la nuova generazione vede la regione, cosa sta cambiando sul territorio e trasmettere questi dati “ai governi, al settore privato e alla società civile di tutto il mondo libero” per sostenere l’elaborazione delle politiche e lo sviluppo di strategie.
Sorprendenti i risultati. Dalle risposte emerge che, nel corso degli anni, è aumentata la fiducia sulla Cina. L’ottanta per cento degli intervistati considera la Cina un alleato del proprio paese. Per gli USA questa percentuale scende al 72% per. Per entrambi i paesi si registra un miglioramento rispetto al sondaggio dello scorso anno, quando gli Stati Uniti hanno ricevuto il 63% e la Cina il 78%. Segno che l’azione di Pechino sta dando i suoi frutti nella regione. I giovani arabi hanno messo gli Stati Uniti d’America al settimo posto tra le nazioni considerate amichevoli. Molto più in basso della Cina che si è classificata al secondo posto, dietro al Turchia. Segno che gli Stati Uniti d’America esercitano un ruolo sempre minore in Medio Oriente, pur continuando ad essere tra gli attori più influenti. Tra gli intervistati, il 61% ha dichiarato di preferire il “disimpegno” degli Stati Uniti d’America dal Medio Oriente e la volontà di trasferire questa rilevanza a paesi del Nord Africa e del’Est Asiatico.
Altro dato sorprendente (ma nemmeno tanto) il rating più elevato (82%) assegnato alla Turchia, paese che la maggior parte dei giovani arabi considera ormai un alleato.
Interessante, invece, il risultato riguardante la Russia: i giovani intervistati hanno dichiarato che i legami con la Russia sono un “rischio calcolato” in un mondo sempre più polarizzato.
Le nuove generazioni di molti paesi arabi mostrano un netto calo di interesse verso gli Stati Uniti d’America e la volontà di tracciare una propria politica estera. A confermarlo la decisione di molti di questi paesi di non schierarsi nella guerra in Ucraina e, al tempo stesso, di avviare incontri commerciali ma anche diplomatici con la Cina.
“La percezione che gli Stati Uniti si stiano strategicamente allontanando dal Medio Oriente sembra trasmettersi dai governi ai cittadini della regione”, ha detto Anna Jacobs, analista senior del Golfo sul think tank International Crisis Group. “Ma questa percezione dovrebbe essere presa con le pinze. Il soft power degli Stati Uniti d’America e il suo ruolo di garante della sicurezza nella regione non sono così prossimi ad essere sostituiti da altre potenze globali come la Cina o la Russia”.
A dimostrarlo il fatto che, nonostante l’aumento della popolarità della Cina, due terzi degli intervistati credono che gli Stati Uniti saranno ancora un “alleato importante” per i prossimi cinque anni.
Il tempo dei contratti tra gli arabi e Bush padre presidente degli USA sembra appartenere al passato. Ma non del tutto. Secondo molti studiosi, è la conseguenza delle politiche degli Stati Uniti nel Medio Oriente. Piena di scelte impopolari in Medio Oriente. A questo si è aggiunto il sostegno degli USA a Israele, che gli intervistati hanno classificato come il “nemico” numero uno.
Secondo Charles Dunne, ex diplomatico statunitense che ha prestato servizio in Medio Oriente, “Le recenti incursioni diplomatiche nella regione suggeriscono che la Cina vede il ruolo degli Stati Uniti d’America in relativo declino e sta cercando opportunità per esercitare influenza e costruire la propria influenza a spese degli americani”. A differenza degli USA che si stanno facendo strada a colpi di miliardi di dollari di armi vendute (o regalate), Pechino ha compreso l’importanza della diplomazia. Magari con un focus sull’economia della regione mediorientale, senza vincoli di altro genere. A dicembre dello scorso anno, i leader di Arabia Saudita e Cina hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta nella quale ribadiscono che difenderanno “il principio di non interferenza negli affari interni degli stati, le regole del diritto internazionale e i principi fondamentali delle relazioni internazionali”. Nell’ultimo periodo, la Cina è cresciuta fino a diventare il più grande partner commerciale degli stati esportatori di petrolio della regione. Il suo commercio con l’Arabia Saudita è letteralmente esploso passando da 4,1 miliardi di dollari nel 2001 a 87,3 miliardi di dollari nel 2021. Più degli Stati Uniti e dell’UE messi insieme.
“Il Medio Oriente è già un’arena di competizione USA-Cina”, ha detto Jacobs. Ora gli attori locali “hanno chiarito che non saranno messi all’angolo nella scelta di una parte in una grande competizione di potere”. “Hanno troppi interessi sia in Oriente che in Occidente e sentono di dover mantenere relazioni equilibrate con tutte le grandi potenze”.
A marzo, Pechino ha dimostrato agli USA quanto vale il proprio peso diplomatico: ha negoziato un accordo di pace tra Iran e Arabia Saudita, rivali di lunga data. E ad aprile, la Cina si è offerta di mediare addirittura tra israeliani e palestinesi. Pochi giorni fa, il presidente cinese ha accolto il presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas con tutti gli onori militari in una visita di stato di quattro giorni in Cina. Un gesto significativo: da quando Biden è stato eletto, Abbas non ha ancora fatto nessun viaggio negli USA. Lo stesso dicasi per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu: da quando è stato rieletto, non è stato ancora invitato alla Casa Bianca.
Secondo alcuni analisti, Biden potrebbe aver rinunciato al tradizionale ruolo da mediatore internazionale degli Stati Uniti d’America. Un cambiamento che a molti è apparso come una conferma dei tanti problemi interni degli USA (Congresso ostile, dura lotta per la rielezione, la guerra in Ucraina, il confronto con la Cina e un’agenda interna insostenibile per il presidente Biden).
Un ruolo da mediatore internazionale che ora la Cina cerca di assumere.