Albania. Rama prende tutto

di Valentino De Bernardis –

Vittoria schiacciante del primo ministro uscente Edi Rama del Partito Socialista. Nonostante si stia procedendo ancora al conteggio delle ultime schede, e non vi sia ancora l’imprimatur dei risultati della Commissione Elettorale Centrale, questo è il primo esito incontestabile uscito dalle urne lo scorso 25 giugno.
Ben oltre le proiezioni degli ultimi giorni, i socialisti dovrebbero riuscire a superare agilmente il 51% delle preferenze, che si andrà a tradurre in 75-76 seggi su 140 disponibili del parlamento albanese.
Distanziato di molto, anzi di troppo, il Partito Democratico di Lulzim Basha, che con quasi il 28% delle preferenze (39 seggi) peggiora il risultato ottenuto nel 2013, e vede svanita l’ambizione di guidare il paese. Terzo è giunto il Movimento Socialista per l’Integrazione (LSI) dell’attuale presidente della repubblica Ilir Meta, già alleato di governo nella passata legislatura, con il 15% dei voti, che si traduce in 20 seggi.
Si apre cosi un ventaglio di considerazioni sull’analisi del voto per i socialisti e i vinti. Prima di tutto c’è da tenere in considerazione quale sarà la strada che “Rama prende tutto” vorrà seguire nella formazione del nuovo esecutivo. Nonostante i numeri potrebbero permettere la formazione di un governo monocolore, c’è da credere che Rama sarà tentato dalla ricerca di alleanze strategiche, e cercare una sintesi condivisa almeno con il LSI, con l’obiettivo chiave di vestire gli abiti dichiarato di vestire li abiti dello statista e non solo dell’uomo di partito, per rilanciare la sua figura in ambito internazionale ed i negoziati con l’Unione Europea per una completa adesione nel minor tempo possibile. Aprire le porte dell’esecutivo anche ad altre forze politiche, vorrebbe altresì significare un ulteriore frazionamento dell’opposizione, privandolo della necessaria forza nel breve-medio periodo per provare a dare spallate significative al futuro esecutivo. Senza bisogno di fare della fantapolitica, qui basta guardare indietro solo pochi mesi fa, quando le azioni extraparlamentari delle opposizioni, occupando letteralmente la piazza, rischiava realmente di far cadere l’esecutivo. A tal proposito, la presenza di circa cinquemila osservatori nazionali ed internazionali al voto domenicale oltre a garantire la regolarità delle procedure (con accuse più o meno provate di voto di scambio), ha però privato le opposizioni di una importate arma politica nella delegittimazione dell’avversario: il boicottaggio delle istituzioni parlamentari.
Il partito democratico, in quanto maggiore partito di opposizione, sarà chiamato a fare una profondissima analisi politica per analizzare la sconfitta. Il passaggio di leadership generazionale da Sali Berisha a Basha non ha garantito la svolta per tornare alla guida del paese, e proprio l’insuccesso personale di Basha fa credere che ci sarà presto una resa dei conti tra i democratici, tra chi preme per esautorarlo e chi lotterà per sostenerlo.
Una riflessione, quella dell’opposizione, che sarà ben più pesante se si considera l’elevato grado di astensionismo, con una affluenza bassissima (45% contro il 54% del 2013) a dimostrazione sia di un completo scollamento tra la popolazione e la classe dirigente di Tirana, che della mancanza di una reale alternativa allo status quo. Con una politica che sembra aver perso di vista i reali problemi del paese (tasso di disoccupazione al 14%, economia sommersa al 30%, corruzione e criminalità endemica, solo per citarne alcuni), la popolazione preferisce mostrare la propria contrarietà non andando a votare.
Al netto delle sopracitate considerazioni numeriche sull’appuntamento elettorale albanese, adesso tutti gli occhi sono puntati sulla gestione del post-voto, forse la cartina di tornasole più significativa per capire il grado di maturità dell’Albania.

@debernardisv
Le opinioni espresse in questo articolo sono a titolo personale.