di C. Alessandro Mauceri –
In tutto il mondo è in atto una sorta di delirio collettivo: i problemi veri, come la salute dei cittadini o la prevenzione di eventi naturali sempre più frequenti o la fame nel mondo o la povertà assoluta, non ricevono risposte concrete, al contrario si spendono somme da capogiro per armi e armamenti. E per giustificarle si fanno guerre sempre più lunghe che causano un numero incalcolabile di vittime tra i civili.
Inutile prendersi in giro: è questa la volontà politica di quasi tutti i paesi “sviluppati” del pianeta, e non solo la loro. I numeri lo confermano. Non solo le somme destinate al settore della “difesa”, che in realtà è quasi sempre di “attacco”. A indicare che questa è la strada che stanno percorrendo la maggior parte dei governi sono i trattati internazionali di non belligeranza: uno dopo l’altro si stanno sciogliendo come neve al sole.
Come la Convenzione di Ottawa per la messa al bando delle mine antiuomo. Armi che continuano ad uccidere anche dopo che una guerra è finita e che colpiscono migliaia di civili, soprattutto bambini. A confermarlo in una recente intervista è stato Gilles Carbonnier, vicepresidente del Comitato internazionale della Croce Rossa: “l’80 per cento delle vittime è costituito proprio da civili, e in particolare bambini”. Per vietarne l’uso nel 1997 venne approvata la Convenzione di Ottawa. Entrata in vigore nel 1999, ad oggi è stata ratificata da 164 paesi. Ma, come per altri trattati simili, tra i firmatari mancano i paesi maggiori responsabili dell’uso di queste armi: Cina, India, Iran, Israele, Corea del Nord, Russia, Corea del Sud e, ovviamente, Stati Uniti d’America. Qualche mese fa a questi paesi si sono uniti anche Estonia, Lituania e Polonia che con una dichiarazione congiunta dei rispettivi ministri della Difesa hanno annunciato la volontà di tornare a usare le mine antiuomo.
A loro, poche settimane dopo si è unita la Lettonia, pare che anche la Finlandia stia valutando di fare la stessa cosa. Di sicuro a ritirare la propria adesione alla Convenzione di Ottawa è stata l’Ucraina: pochi giorni fa il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha firmato il decreto proposto dal Consiglio di sicurezza e difesa nazionale sul ritiro di Kiev dal trattato che proibisce l’uso, lo stoccaggio e la produzione di mine antiuomo.
Situazione ancora peggiore per il Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari (CTBT). La discussione di questo trattato è iniziata quasi mezzo secolo fa, nel 1982. Solo nel 1994, con la Conferenza sul disarmo (CD) iniziarono i negoziati su un trattato globale per la messa al bando degli esperimenti nucleari. Nel 1996, si richiesta dell’Australia, l’Assemblea generale riprese la discussione e venne messo all’ordine del giorno il “Trattato per la messa al bando totale degli esperimenti nucleari”. Il 10 settembre l’Assemblea generale, con la risoluzione (A/RES/50/245), adottò il Trattato per la messa al bando totale degli esperimenti nucleari e chiese al segretario generale delle Nazioni Unite, nella sua qualità di Depositario del Trattato, di aprirlo alla firma il prima possibile. Aperto alla firma nel settembre 1996, non è mai entrato in vigore. Per sollecitare la sottoscrizione del CTBT, nel 2018, il Segretario Generale delle NU lanciò un appello dal titolo Garantire il nostro futuro comune: un’agenda per il disarmo. In esso chiedeva a tutti gli Stati le cui ratifiche erano necessarie per l’entrata in vigore del Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari (CTBT) di firmare il Trattato in tempi brevi. Sono passati altri sette anni e nessuno degli Stati che possiedono armi nucleari (o succubi di chi le possiede) ha mai messo la firma sul CTBT. Eppure se ne è parlato molto: l’articolo XIV del CTBT prevede che, nel caso in cui il trattato non fosse entrato in vigore dalla data dell’anniversario della sua apertura alla firma, di organizzare una conferenza su richiesta della maggioranza degli Stati ratificanti. Ad oggi sono state organizzare più di una decina di conferenze per facilitare l’entrata in vigore del trattato: nel 1999, nel 2003 e nel 2007 a Vienna, nel 2001, 2005, 2009, 2011, 2013, 2015, 2017, 2019, 2021 e 2023 a New York. Ma non sono servite a nulla.
Nelle scorse settimane si è fatto un gran parlare della possibilità che l’Iran potesse o volesse dotarsi di ordigni nucleari. Una situazione che avrebbe giustificato l’attacco preventivo prima di Israele e poi degli USA. In realtà, non esiste un solo trattato di diritto internazionale che da ad uno Stato sovrano il diritto di attaccare un altro Stato sovrano, come l’Iran, ma anche come la Siria o lo Yemen o la Palestina, se non per un gesto concreto di difesa. Tanto meno se chi pretende di farlo per difendersi, in realtà ha dimostrato in ogni modo intenzioni bellicose e tutt’altro che pacifiche e di avere decine di armi nucleari ovvero quelle che non vorrebbe che altri Stati costruissero.
Che lo si ammetta o no, la verità è che i leader mondiali stanno facendo di tutto per fare la guerra. Non per difesa. Semplicemente perché in un momento in cui molte aziende sono in crisi, fare la guerra stimola la produzione e quindi aumenta le entrate per le casse dello Stato. All’inizio del secolo scorso, una delle maggiori imprese italiane era in crisi. Fu anche (o solo) grazie alla decisione di convertire parte della sua produzione in mezzi utilizzabili per altri scopi, militari o di supporto militare, che si salvò e riprese vigore. Ora la situazione non è diversa. Sono molti i paesi europei che non riescono a tenere il passo con la concorrenza asiatica e africana. L’unica soluzione che i loro leader hanno saputo trovare è fare quello che hanno fatto gli USA negli ultimi decenni: produrre e vendere sempre più armi e armamenti. Ma per farlo è necessario avere una o più di una guerra.
Da alcune settimane si parla di accordi tra Ucraina e Russia. Stranamente, nessuno ha detto che in realtà, nel 2022, pochi giorni dopo l’attacco russo all’Ucraina, a seguito di alcune provocazioni, i due paesi si incontrarono per cercare di siglare un accordo di pace. Prima si incontrarono vicino al confine con la Bielorussia. Poco dopo in Turchia. Pare che la causa del fallimento di una pace che avrebbe permesso di risparmiare decine di migliaia di morti sia da ricercare nelle pressioni esercitate da chi voleva a tutti i costi che la guerra continuasse. E non erano né la Russia né l’Ucraina.
Anche per gli attacchi di Israele la situazione non è molto diversa: senza l’appoggio incondizionato di molti paesi occidentali, la strage (guai a chiamarla “genocidio”) di decine e decine di migliaia di bambini innocenti non sarebbero mai avvenute.
Di fronte alla brama sfrenata di fare la guerra, trattati internazionali, diritto umanitario internazionale e diritti umani servono a poco. L’unica cosa che importa ormai è produrre e vendere sempre più armi, anche a costo di raddoppiare o addirittura di triplicare la percentuale del Pil da destinare a questa spesa come hanno promesso i paesi della NATO. Poco importa ai leader a cosa serviranno questi oggetti di strumenti di morte.












