Angola, Gabon, Nigeria e Mozambico declassate

di Valentino De Bernardis

S&pPrimavera piovosa per l’africa sub-sahariana come non se ne vedevano da tempo. Perturbazioni diffuse su tutto il continente che potrebbero avere ripercussioni sul tessuto politico-sociale-economico delle nazioni interessate.
Il maltempo che si sta abbattendo sulle regioni aride africane non si riferisce però a fenomeni atmosferici più o meno prevedibili, quanto alla pioggia di downgrade delle società di racing internazionali, che da fine aprile sferza i cieli, a suggellare crisi economiche più o meno conclamate. Ma se da una parte non preoccupa la revisione delle previsioni sul Botswana da stabile a negativo deciso da S&P, nonostante la contrazione della produzione diamantifera e l’inizio della recessione economica, dall’altra abbiamo quadri macroeconomici più preoccupanti, da tenere in osservazione. Realtà dell’africa australe e occidentale che rischiano di passare da astri nascenti del continente nero, a semplici meteore sotto il peso di pressioni endogene. Questo sembrerebbe essere il caso dell’Angola, unico paese dell’africa sub-sahariana a fare molti più investimenti diretti esteri di quanti ne riceva, la Nigeria, capace nel 2015 di superare il Sud Africa come prima economia continentale, il Gabon con uno dei maggiori redditi pro-capite continentali, e i Mozambico, con un ampio potenziale inespresso in campo estrattivo, energetico e turistico.
I primi tre Stati su menzionati sono stati soggetti di revisioni di racing da parte di Moody’s da Ba2 a B1, mentre il Mozambico si è visto tagliare il proprio a CCC da Fitch, a testimonianza di una congiuntura economica generalizzata che ridurre solamente alla mera dipendenza delle economie in esame alle forti oscillazioni del prezzo delle materie prime (petrolio per Angola, Gabon e Nigeria, e alluminio per Mozambico) potrebbe essere errato, o meglio non esaustivo. Altri fattori comuni ugualmente importanti sono i problemi economici che le capitali africane si portano dietro come un fardello che ne affossa le speranze di crescita, quali: (I) corruzione endemica, con il caso limite dell’Angola, relegato dal Corruption Percepito Index 2015 alla 163esima posizione su 168 paesi; (II) la non equa redistribuzione della ricchezza, con sacche crescenti della popolazione costrette a vivere con meno di due dollari al giorno; (III) la scarsa diversificazione economica, che rende i paesi troppo vulnerabili a shock esogeni; (IV) la non completa maturazione delle istituzioni democratiche, dove l’accesso ai centri decisionali nazionali si riduce alla perpetrazione del potere stesso di una ristretta classe elitaria, senza una reale alternanza tra diversi soggetti politici, eccezion fatta per la Nigeria; (IV) il rallentamento di alcuni partner commerciali affidabili, con riferimento al subcontinente cinese ed indiano, che si riverbera in Africa, finanche a diventarne un ostacolo (esempio emblematico quello nel settore siderurgico tra Cina e Sud Africa).
Angola, Gabon, Nigeria e Mozambico non rappresentano casi isolati, altri paesi sembrano apprestarsi a seguire il medesimo percorso nell’area occidentale (Ghana), orientale (Kenya) e australe (Sud Africa), sotto la spada di Damocle di un taglio del loro racing sovrano, qualora dovessero continuare a ritardare processi di riforme sempre annunciati ma mai completamente attuali. Paesi ostaggi di interessi politici particolaristici, con Kenya e Ghana chiamate a rinnovare nel prossimo futuro le maggiori cariche istituzionali, e Sud Africa alle prese con un presidente della repubblica impegnato a risolvere questioni personali e giudiziarie.
In maniera indiretta, le decisioni delle società di racing internazionali hanno trovato un indiretto riscontro nell’ultimo rapporto regionale dell’Africa Sub-Sahariana del Fondo Monetario Internazionale (aprile 2016), che ha evidenziato come l’intera area dopo un periodo prolungato di forte crescita, per la prima volta in quindi anni, registrerà una crescita del 3,5% nel 2015, prevista in ulteriore declino al 3% nel 2016. Una preoccupante inversione di tendenza se paragonata alla media dell’ultima decade pari al 6%, in attesa di un cielo più limpido a partire dal 2017.

@debernardisv
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