Annessione della Cisgiordania: tutti contro Netanyahu. Ma lui va avanti grazie all’amico Trump

di Enrico Oliari

Fioccano da tutto il mondo su Israele le perplessità circa l’intenzione del premier Benjamin Netanyahu di procedere con il piano di annessione di buona parte della valle del Giordano, territorio palestinese in cui nel corso degli hanno proliferato i villaggi dei coloni israeliani, per la precisione 235.
L’allargamento di Israele, benedetto da Donald Trump il cui consenso elettorale si appoggia sulle potenti lobby sioniste presenti negli Usa, rientrerebbe nel piano di pace studiato da Jared Kushner (“American Peace to Prosperity Plan”), ma è palese che l’annessione della valle, strategica per la presenza del fiume Giordano in una terra arida, di pacifico non ha nulla.
Settimana scorsa la Corte suprema israeliana ha inoltre dichiarato “incostituzionale” la legge del 2017 che legalizzava gli insediamenti ebraici in Cisgiordania, puntualmente costruiti su terreni privati di palestinesi, proprio perché “viola i diritti di proprietà e di eguaglianza dei palestinesi mentre privilegia gli interessi dei coloni israeliani sui residenti palestinesi”.
Una presa di posizione, quella dei giudici dell’Alta corte, a cui Netanyahu ha fatto sapere di andare oltre, dal momento che l’annessione del territorio renderà del tutto legali gli espropri, mentre Benny Gantz, il leader di Blu e Bianco al governo con il Likud, si è mostrato più prudente affermando che “la decisione della Corte sarà rispettata”, e che il suo partito “si assicurerà che venga rispettata”.
Intanto all’Onu un gruppo di 45 esperti, interpellati per valutare il piano di annessione di Netanyahu che dovrebbe prendere attuazione agli inizi di luglio, ha scritto che l’iniziativa rappresenta “Una violazione della carta delle Nazioni Unite e della Convenzione di Ginevra”, simile ad un “apartheid del 21mo secolo”, un progetto “contrario alle regole fondamentali stabilite dal Consiglio di sicurezza e dall’Assemblea Generale, che definiscono inammissibili le annessioni di territori con la guerra o la forza”.
Un appello simile è stato sottoscritto da una cinquantina di personalità e organizzazioni ebraiche di tutto il mondo, un documento in cui viene fatto notare che l’annessione comporterebbe “la fine della soluzione a due stati e distruggerebbe ogni speranza del popolo palestinese di raggiungere l’autodeterminazione con mezzi non violenti”, e che nel contempo “devasterebbe il progetto sionista finalizzato alla creazione di uno Stato ebraico e democratico”.
Idem con la nota di 300 tra ex alti ufficiali dell’esercito, del Mossad, della polizia e membri dell’organizzazione non governativa Commanders for the Security of Israel: essi hanno fatto notare come l’annessione della valle del Giordano innescherà una reazione a catena che uscirà da ogni controllo e che causerà il crollo dell’Anp, ed a sua volta la presa di controllo dell’intera Cisgiordania e all’obbligo da parte di Israele di farsi carico in modo diretto di 2,6 milioni di palestinesi. I firmatari hanno anche aggiunto che vi sarebbero ripercussioni dirette sulla Giordania, dove il 40% degli abitanti sono palestinesi costretti lì a rifugiarsi con la nascita dello Stato d’Israele, cosa che porterebbe ad una destabilizzazione interna del Regno e di conseguenza alla revisione del trattato di pace con Tel Aviv.
Ma forse scaricare altrove i 2.6 milioni di palestinesi in Cisgiordania è proprio quello che Netanyahu vuole, per uno Stato confessionale (lo aveva proposto in passato) a scapito di chi lì vive da sempre.