Arabia Saudita. Ammessa la morte di Khashoggi, ‘un incidente’

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Dopo una serie di giravolte e soprattutto a causa delle pressioni dell’opinione pubblica internazionale, l’Arabia Saudita ha ammesso che il giornalista Jamal Khashoggi, il quale era entrato il 2 ottobre nel consolato saudita di Istanbul per richiedere documenti di divorzio e da lì non è più uscito, è morto.
L’ultima versione vede i sauditi ammettere che il giornalista sarebbe rimasto soffocato mentre i 15 agenti dei servizi segreti e della guardia del principe ereditario, giunti per l’occasione, lo interrogavano e gli chiudevano la bocca con uno straccio per impedirgli di urlare.
Khashoggi era dal 2017 esule negli Usa dove lavorava come editorialista del Washington Post, ed era molto critico nei confronti del principe ereditario Mohamed bin Salman, il quale anche in passato non si è fatto scrupoli nel far arrestare principi e funzionari requisendo loro cifre per svariate centinaia di miliardi di dollari.
La spiegazione dei sauditi tuttavia resta poco convincente, anche perché il corpo di Khashoggi sarebbe stato portato fuori dal consolato una volta tagliato a pezzi. Inoltre il giornalista aveva lasciato acceso il suo Apple watch (il telefono che registrava lo aveva la compagna fuori dall’edificio) e nella registrazione si sentono le urla mentre gli venivano tagliate le dita e veniva torturato.
Intanto in Artabia Saudita 18 persone fra cui diversi membri del commando e 5 alti funzionari sono finite dietro le sbarre. Agli arresti anche il numero due dell’intelligence saudita, il generale Ahmed al-Assiri, il quale pare essere divenuto il capro espiatorio della vicenda al fine di salvare l’immagine di Mohamed bin Salman.