Arabia Saudita. La procura chiede la condanna a morte di cinque attivisti per i diritti umani

L’incredibile contraddizione del saudita Faisal bin Hassan Thad a presidente del comitato consultivo del Consiglio Onu dei diritti umani.

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Cinque attivisti per i diritti umani potrebbero essere giustiziati in Arabia Saudita dopo che l’ufficio del procuratore ha chiesto per loro la pena di morte. Tra loro la prima donna che potrebbe subire tale pena a causa della lotta per i diritti civili: si tratta di Israa al-Ghomgham, in carcere con il marito dal 2015 per aver documentato le proteste antigovernative della minoranza sciita, tradizionalmente emarginata nel paese mediorientale.
E’ quanto rendono noto Human Rights Watch e Amnesty International, ed il direttore per il medio Oriente di quest’ultima ong, Samah Hadid, ha dichiarato che “Stiamo chiedendo alle autorità saudite di abbandonare immediatamente il loro piano” e che “Condannare Israa al-Ghomgham alla pena di morte manderebbe un orribile messaggio che tutti gli attivisti possono essere presi di mira allo stesso modo per la loro protesta pacifica e l’impegno per i diritti umani”.
Per Hrw in Arabia Saudita è in corso “una repressione governativa senza precedenti” e da maggio sarebbero una dozzina gli attivisti finiti agli arresti.
Alla richiesta del Canada, formulata agli inizi del mese, di rilasciare “immediatamente” gli attivisti per i diritti umani tra cui il Premio Sakharov Raef Badaoui, Riad ha risposto espellendone l’ambasciatore Dennis Horak.
Si noti la contraddizione: nel settembre 2015 il cosiddetto “Gruppo asiatico” è riuscito ad ottenere la nomina del saudita Faisal bin Hassan Thad a presidente del comitato consultivo del Consiglio Onu dei diritti umani, che tra l’altro ha il compito di nominare gli esperti del settore.