Benedetto XV e il rilancio della Santa Sede

di Marco Corno

Papa Benedetto XV è forse uno dei papi meno noti e meno conosciuti della storia contemporanea eppure la sua pacatezza e il suo ruolo politico durante la Prima Guerra Mondiale (1914-1918) sono stati cruciali per il rilancio della Chiesa universale e per la risoluzione della logorroica Questione Romana (1870), conclusasi solo nel 1929 con la stipula e la firma dei Patti Lateranensi.

Benedetto XV nella Prima Guerra Mondiale.
Papa Benedetto XV, allo scoppio del conflitto, fece immediatamente un primo appello alle parti belligeranti: “affrettare la fine di questa calamità”. Le parole del Papa erano innovative perché all’epoca il conflitto bellico veniva percepito come un qualcosa di sacro. Il Papa nella successiva Enciclica Ad Beatissimi Apostolorum non riprende soltanto questi concetti ma confessa di sentirsi padre di tutta l’umanità e pertanto si sente la responsabilità, tramite la diplomazia, di porre fine a questa “inutile strage”. Tuttavia, la posizione della Santa Sede nella comunità internazionale era molto debole, di fatto i rapporti con i paesi della Triplice Intesa (Francia, Russia, Gran Bretagna, Italia e USA) erano ai minimi storici, e non esistevano di fatto relazioni diplomatiche ufficiali, mentre erano forti con le potenze della Triplice Alleanza, in particolare con l’Impero Austro-Ungarico considerato un baluardo del cattolicesimo europeo. Il pontefice, con il fondamentale supporto del segretario di Stato cardinale Gasparri, fu costretto a organizzare la sua diplomazia su diversi livelli: in primis umanitario con un ampio sostegno ai civili e ai soldati vittime del conflitto, che costò immensi sacrifici alla Chiesa, e in secondo luogo l’adozione di una politica neutrale della Santa Sede volta a favorire il dialogo tra le parti belligeranti onde anche evitare di essere accusata di favoritismo, accusa subito “additata” a Benedetto XV per la mancata condanna del massacro dell’Università Cattolica di Lovanio ad opera dell’esercito tedesco nei confronti degli studenti e dei civili belgi.
Il 28 luglio del 1915 il Papa emana un primo documento ufficiale nel quale promuove il ruolo di arbitro internazionale della Chiesa. Tra l’autunno del 1915 e la fine del 1916 cerca un dialogo con le grandi potenze per la pace. Gran Bretagna e USA, sebbene le pressioni della Santa Sede, non accettano il compromesso con la Germania guglielmina e con l’Austria per porre fine alla guerra. Nonostante la grande delusione del Pontefice, le sue parole e le grandi opere della Chiesa per proteggere i civili sortirono l’effetto di sensibilizzare l’opinione pubblica europea sul “grande massacro europeo” e permisero di farle riacquisire prestigio internazionale.

La Santa Sede e la mancata pace.
Dopo il 1918, la distruzione dell’Europa venne concepita dal Pontefice non solamente come una catastrofe ma come un’opportunità per rilanciare diplomaticamente la Santa Sede. Il Papa sottolineò l’importanza di far prevalere il dialogo condannando l’abuso di potere dei vincitori sui vinti mostrando la propria disponibilità a firmare una: “pace giusta”
Il Pontefice però venne escluso dagli accordi di pace di Parigi dall’art.15 del Patto di Londra del 1915, stipulato dall’Italia con la Gran Bretagna, temendo un’eccessiva ingerenza della Santa Sede nelle querelle geopolitiche degli stati vincitori. Poco valsero le pressioni della Gran Bretagna di abrogare l’art.15 in modo da permettere anche alle potenze non belligeranti di partecipare alla conferenza di Pace. Ulteriore ostacolo fu la riluttanza di Gasparri a partecipare ad una pace umiliante per i vinti. Il papa inoltre era contrario al modo di applicazione delle riparazioni di guerra; tutti i messaggi pontifici affermavano la necessità di mitigare il più possibile le catastrofi economiche come conseguenze del trattato di Versailles, addirittura il Pontefice arrivò a definire la pace di Versailles, 28 giugno 1919, non una pace, strictu sensu, ma un armistizio che preparava una nuova guerra.
Nonostante l’esclusione della Santa Sede perfino dalla Società delle Nazioni, questo non impedì ai singoli diplomatici pontifici di prendere iniziative importanti il cui esito fu il rafforzamento della Santa Sede a livello internazionale e non il suo indebolimento.
Benedetto XV “sposò” l’idealismo wilsoniano, sebbene già nel 1914 il Papa emise una nota di pace organizzata in 10 punti in cui si elencavano i principi fondamentali su cui costruire la futura comunità internazionale, mostrandosi favorevole all’istituzione di un ordine internazionale basato sulla pace (ispirato ai 14 punti di Wilson) e sul senso cattolico.

La dissoluzione degli Imperi Centrali e dell’Impero Ottomano.
L’immediata sfida per il Pontefice dopo il 1918 era la dissoluzione degli Imperi Centrali (Impero Austro-Ungarico, Impero Russo e Impero Tedesco) ma anche la spartizione del “malato d’Europa” (Impero ottomano) in Medio Oriente.
Nel 1921 Benedetto XV disse che gli stati erano usciti troppo mutati dalla Grande Guerra ed era quindi necessario attuare nuovi accordi al fine di tutelare i cristiani e i diritti della Chiesa. La Santa Sede a causa della sua posizione di isolamento istituì la Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinaria formata da 15 vescovi dell’Ordine Benedettino (di cui fece parte pure il Cardinale Gasparri). Tra il 1918 e il 1922 la Congregazione si riunì diverse volte per discutere dei nuovi equilibri geopolitici dell’est Europa.
Il primo problema fu la caduta dell’Impero Austro-Ungarico la cui scomparsa creò forti problemi all’interno della Curia Romana essendo un grande paese cattolico. L’assillo del Pontefice era lo scoppio di una forte diatriba tra le diverse etnie il cui nazionalismo rischiava di portare cattolici contro cattolici in nome dell’appartenenza nazionale. Ecco perché papa Benedetto XV si espresse immediatamente per una grande riconciliazione tra le etnie. Il nazionalismo della nuova Cecoslovacchia incuteva paura proprio per il suo alto livello di aggressività nei confronti dei paesi limitrofi. La stipula del modus vivendi con quest’ultimo nel 1928 venne visto in questo senso come uno strumento per stabilizzare i nuovi paesi slavi ed evitare una nuova carneficina europea.
Un’altra questione è la Russia per gli eventi del 1917.
Sino al 1914 i rapporti con Mosca erano pessimi. Nel 1917 la rivoluzione bolscevica viene vista come un’occasione per sbloccare l’impasse ma il cardinale Gasparri vide nella rivoluzione russa un pericolo ancora peggiore perché l’aggressività del nuovo regime del Cremlino avrebbe potuto costituire una grande Russia comunista atea estesa fino allo stretto di Bosforo, approfittando del vuoto geopolitico generato dalla caduta dell’Impero Ottomano, costituendo un nuovo “Impero Bizantino”.
L’Impero Ottomano era il punto più debole dell’Ordine Internazionale.
Già da tempo la Santa Sede aveva elaborato una politica orientale avviando dialoghi con i patriarcati ortodossi e con la “sublime porta”. Negli anni precedente al 1914 aveva cercato di tutelare i cristiani in Medio Oriente e riteneva il regime del Sultano una delle migliori garanzie per la pace e la coesistenza della grande varietà di popoli collocati nella regione. Per questo la Santa Sede considerava la spartizione dell’Impero turco un gravissimo errore così come l’idea di creare un grande stato arabo poiché avrebbe potuto creare tensioni con le minoranze cristiane e non. Per la Curia Romana era quindi necessario un atto di consacrazione di Istanbul e un “atto di pietà” della Gran Bretagna e della Francia, in verità Il trattato di Versailles si tradusse in una pace punitiva anche per i turchi con una spartizione dei suoi ex territori.
La Santa Sede era anche contraria al mandato britannico (1922) sulla Palestina a cui proponeva una sua internazionalizzazione, suscitando grossi malumori a Londra. La Curia Romana accolse con una certa riserva anche la liberazione di Gerusalemme siccome prevalse un certo scetticismo sulla nascita del sionismo e sulle posizioni belliche in Terra Santa. Il vero problema era l’extraterritorialità dei luoghi santi la cui gestione doveva essere riconosciuta ai cristiani.

Conclusioni.
La diplomazia di Benedetto XV è stata quindi silenziosa ma allo stesso tempo molto importante dato che ha dato un grande contributo all’assetto europeo ma specialmente al rilancio della Chiesa cattolica in Europa e nel mondo ponendo le basi per il successivo pontificato di Pio XI, soprannominato il Papa dei concordati, il cui merito è da attribuire in parte anche a lui che è riuscito ad allacciare importanti accordi con in nuovi stati sorti dalla prima guerra mondiale espandendo le relazioni della Santa Sede, da 14 a 27 stati con relazioni diplomatiche ufficiali. Papa Benedetto XV si è fatto promotore di una diplomazia solida a tutto campo, imperniata di un forte ottimismo cattolico malgrado tutte le difficoltà incontrate a dimostrazione che veramente dalle crisi si possono trarre delle grandi opportunità.