di Giuseppe Gagliano –
Uomini armati del Gruppo di Sostegno all’Islam e ai Musulmani (JNIM), affiliato ad al-Qaeda, hanno attaccato una base militare a Ouda, nel nord del Benin. Con 28 soldati uccisi e un’incursione capace di violare una delle postazioni più fortificate del Paese, l’episodio mette in luce le vulnerabilità del Benin e dell’intera area del Sahel.
Negli ultimi anni il JNIM ha consolidato la propria presenza in Africa occidentale sfruttando le debolezze istituzionali e le difficoltà economiche di Paesi come Burkina Faso, Mali e Niger. La capacità di penetrare oltre i confini tradizionali del Sahel, colpendo il Benin e potenzialmente minacciando Stati costieri come Togo e Ghana, indica una chiara strategia di espansione. L’obiettivo del gruppo jihadista non è solo destabilizzare i governi locali, ma anche creare un corridoio operativo che colleghi il Sahel al Golfo di Guinea.
Questo spostamento geografico rappresenta una sfida complessa per i Paesi della regione, che si trovano a fronteggiare una minaccia transnazionale con risorse spesso limitate. Nel caso del Benin, nonostante l’operazione Mirador e il dispiegamento di 3mila soldati lungo i confini, gli attacchi continuano ad aumentare. La difficoltà di contenere le incursioni del JNIM evidenzia la necessità di un approccio regionale più coordinato.
Dal punto di vista politico, l’attacco a Ouda rappresenta un duro colpo per il governo del presidente Patrice Talon. La mancata comunicazione ufficiale da parte dell’esecutivo sottolinea un evidente imbarazzo e alimenta le critiche dell’opposizione, che ha definito l’episodio una “tragedia nazionale”. Questa incertezza politica rischia di minare ulteriormente la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, in un momento in cui il supporto popolare è cruciale per contrastare la minaccia jihadista.
Sul piano strategico-militare l’attacco dimostra la capacità del JNIM di condurre operazioni sofisticate, nonostante le perdite subite nelle operazioni di rastrellamento successive. Il sequestro di armi, munizioni e un drone dalle forze beninesi segnala una crescente competenza tecnica dei jihadisti, che non si limitano più ad azioni di guerriglia ma puntano a sottrarre equipaggiamenti moderni per rafforzare le proprie capacità operative.
La comunità internazionale ha già mostrato un certo impegno nel sostenere il Benin. Gli Stati Uniti, con una donazione di 6,6 milioni di dollari in equipaggiamenti militari, e l’Unione Europea, con 47 milioni di euro stanziati nel 2024, hanno cercato di rafforzare le capacità difensive del Paese. Tuttavia, questi interventi rischiano di essere insufficienti se non integrati da una strategia più ampia che includa il miglioramento dell’intelligence, il rafforzamento della cooperazione tra gli Stati della regione e un maggiore coinvolgimento della popolazione locale.
Sul fronte regionale, la creazione di un comando unificato per il Sahel, simile alla forza congiunta G5 Sahel, potrebbe rappresentare una soluzione per affrontare la minaccia jihadista in modo più coordinato. Tuttavia, le difficoltà politiche e logistiche che hanno afflitto le precedenti iniziative regionali indicano che questa strada richiederà un impegno straordinario sia da parte dei Paesi africani sia dei partner internazionali.
L’attacco di Ouda non è un episodio isolato, ma parte di una più ampia strategia del JNIM per consolidare la propria presenza in Africa occidentale. Per il Benin, la lotta al terrorismo non può limitarsi a un approccio militare: è necessario un piano che includa lo sviluppo socio-economico delle aree più vulnerabili, il rafforzamento delle istituzioni democratiche e una maggiore cooperazione internazionale.
In un contesto regionale sempre più instabile, la capacità del Benin di resistere e reagire avrà implicazioni non solo per la sicurezza nazionale, ma anche per la stabilità dell’intera Africa occidentale. Per i governi e le organizzazioni internazionali, questo è un test cruciale per dimostrare che il terrorismo jihadista può essere contenuto e sconfitto attraverso una combinazione di forza militare, diplomazia e sviluppo economico.