Birmania. La Cina blocca all’Onu una risoluzione di condanna del golpe

Il G7 esprime condanna e chiede la liberazione di Aung San Suu Kyi.

di Guido Keller

Un proposta di condanna del golpe di due giorni fa in Birmania è stata affossata al Consiglio di sicurezza dell’Onu dalla Cina, paese con diritto di veto. Si ripete così lo scenario del 2017, quando la Cina bloccò le iniziative di intervento o semplicemente di condanna dello stesso Consiglio in merito alla questione dei Rohingya, la minoranza musulmana costretta in gran parte a rifugiarsi nei campi profughi del Bangladesh per sfuggire alle persecuzioni e a quella che è risultata essere una vera e propria pulizia etnica.
Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin ha fatto sapere che “in quanto paese amico ci opponiamo a una risoluzione di condanna nei confronti della Birmania, bensì desideriamo che le parti possano risolvere le loro controversie attraverso il dialogo”.
Intanto dalla Birmania continuano ad arrivare poche notizie, internet rimane bloccato, e le immagini diffuse dalla giunta militare dei sostenitori in festa per le strade sono in controtendenza con il sentimento di sofferenza diffuso tra la popolazione: negli ospedali dell’ex capitale Yangon, 5 milioni e mezzo di abitanti, il personale ha incrociato le braccia, mentre alle 20.00, ora di inizio del coprifuoco, gli abitanti si sono affacciati alle finestre sbattendo pentole per fare chiasso, come si usa a capodanno per scacciare gli spiriti maligni.
I militari, che hanno preso il potere mettendolo nelle mani dell’ex generale Min Aung Hlaing, continuano a presidiare le strade, ma hanno ribadito che la situazione d’emergenza dovrebbe esaurirsi nell’arco di un anno.
Alla base del colpo di stato, avvenuto a poche ore dall’insediamento del nuovo parlamento, vi sono le denunce di brogli elettorali mosse dagli stessi militari, i quali già per costituzione detengono un quarto del potere della Birmania: le elezioni di novembre hanno visto la vittoria della Lega nazionale per la democrazia (Lnd), il partito guidato dalla premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi. Il Lnd ha conquistato 368 seggi, mentre l’Usdp (Union Solidarity and Development Party), una coalizione di 23 partiti sostenuta dai militari e guidata dal generale Than Htay, ha preso 23 seggi.
Aung San Suu Kyi è stata arrestata insieme al presidente Win Myint, ad esponenti del governo e del partito, ed oggi la Procura ha disposto per l’ormai ex consigliere di Stato una “detenzione provvisoria” di 14 giorni in quanto accusata di aver violato la legge sull’import-export. Win è invece accusato di aver violato la legge sulla gestione delle catastrofi naturali.
Aung San Suu Kyi è stata in passato criticata dalla comunità internazionale per non essersi apertamente opposta al massacro dei Rohingya.
Se il Cosniglio di sicurezza dell’Onu non ha potuto fare nulla, condanne del golpe potrebbero arrivare dall’Ue e dal G7. Da subito il Pesc Josep Borrell ha comunicato la “ferma condanna del colpo di stato dei militari” e ha chiesto “un immediato rilascio dei detenuti”, mentre oggi la Francia ha già parlato attraverso il ministro degli Esteri Jean-Yives Le Drian di “sanzioni”, mettendosi sulla linea del presidente Usa Joe Biden.
Da Londra i ministri degli Esteri del G7 hanno espresso “profonda preoccupazione”, ed hanno chiesto ai militari di porre fine “immediatamente” allo stato di emergenza nel Paese.
Nel comunicato congiunto dei ministri di Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Canada e Giappone si legge che “Siamo profondamente preoccupati per la detenzione di leader politici e attivisti della società civile, tra cui il Consigliere di Stato Aung San Suu Kyi e il presidente Win Myint, e per l’attacco ai media”. “Chiediamo ai militari di porre immediatamente fine allo stato di emergenza, ristabilire il potere del governo democraticamente eletto, liberare tutti coloro che sono stati ingiustamente detenuti e rispettare i diritti umani e lo stato di diritto”.