Birmania. Le manifestazioni contro il golpe militare continuano a essere represse con la violenza

Oltre 20 i morti.

di Guido Keller –

Le proteste di piazza in Birmania contro il golpe militare del 1 febbraio hanno già comportato l’uccisione di 21 manifestanti, ed oggi fonti mediche hanno riferito dell’arrivo di numerosi feriti negli ospedali vittime dell’esplosione di colpi di arma da fuoco e di granate da parte dell’esercito. I militari hanno segnalato di un morto fra le loro fila, mentre il numero degli arrestati resta sconosciuto, si parla di centinaia di persone. Un giornalista del Democratic Voice of Burma (DVB) è rimasto ucciso mentre riprendeva in diretta l’arrivo delle forze di sicurezza davanti al suo appartamento a Myeik.
Le principali manifestazioni e la maggiore repressione si registrano nell’ex capitale Yangon, 5 milioni e mezzo di abitanti, dove diversi settori sono entrati in sciopero.
Alla base del colpo di stato, avvenuto a poche ore dall’insediamento del nuovo parlamento, vi sono le denunce di brogli elettorali mosse dagli stessi militari, i quali già per costituzione detengono un quarto del potere della Birmania: le elezioni di novembre hanno visto la vittoria della Lega nazionale per la democrazia (Lnd), il partito guidato dalla premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi. Il Lnd ha conquistato 368 seggi, mentre l’Usdp (Union Solidarity and Development Party), una coalizione di 23 partiti sostenuta dai militari e guidata dal generale Than Htay, ha preso 23 seggi.
Aung San Suu Kyi è stata arrestata insieme al presidente Win Myint e a esponenti del governo e del partito, ed il potere è stato assunto da generale Min Aung Hlaing, il quale ha dalla sua la Cina: Pechino infatti continua a boccare le risoluzioni di condanna al Consiglio di Sicurezza dell’Onu dove ha diritto di veto, ritenendo quanto sta accadendo nel paese orientale un affare interno. In realtà sono molti i progetti cinesi in Birmania, certamente più sicuri con un governo che non guarda a occidente.
Al momento sono in corso trattative fra la giunta militare al governo e i ministri degli Esteri dell’Asean, i quali puntano innanzitutto a che venga posta fine alle violenze.