Birmania. Rohingya: il rapporto del Wfp cambiato su pressioni del governo

di C. Alessandro Mauceri

Un rapporto del Wfp, il Programma alimentare mondiale, sarebbe stato prima riscritto e poi cancellato a seguito di pressioni esercitate dal governo del Myanmar. È questa l’accusa pesantissima lanciata da un report del giornale inglese The Guardian nei giorni scorsi.
A luglio, quando la fuga disperata di centinaia di migliaia di persone dal paese governato dal Premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi, era appena iniziata, numerose organizzazioni internazionali si sono attivate per valutare la situazione e fornire assistenza alle fasce più deboli della popolazione: donne e bambini. Unicef, Unhcr e Wfp, da subito si sono mossi e hanno cercato di capire l’entità del problema.
Per questo il Wfp delle Nazioni Unite ha scritto un rapporto (invero molto stringato: solo sei pagine) che raccontava alcuni degli orrori in atto nel paese. Stando a quanto riporta il giornale britannico The Guardian, nel documento veniva denunciata la condizione di “emergenza fame disperata” in cui vive la popolazione Rohingya. L’analisi originale del Programma alimentare mondiale risalente al mese di luglio parlava di oltre 80mila bambini sotto i cinque anni messi “al macero” (“wasting”), con conseguenze potenzialmente fatali di rapida perdita di peso e diffondersi di malattie.
Questo rapporto, però, sarebbe stato immediatamente ritirato a seguito delle pressioni esercitate dalle autorità del Myanmar.
In un primo momento il Wfp avrebbe annunciato che la versione definitiva sarebbe stata “concordata” e scritta congiuntamente da tecnici del Wfp e “rappresentanti di vari ministeri e risponderebbe alla necessità di un approccio comune”, in linea con la “futura cooperazione del Wfp con il governo”. “Il Wfp è alla base della sua valutazione iniziale, condotta congiuntamente con le autorità locali nello stato Rakhine (…) Tuttavia Wfp riconosce che in una situazione dinamica ed evoluta, è importante coordinare strettamente con tutti i partner e il governo”.
Il Wfp ha detto che l’ agenzia “si basa sulla sua valutazione originale” che diceva che “solo” 80mia bambini Rohingya sotto i cinque anni soffrivano di una perdita di peso potenzialmente fatale a Rakhine nel mese di luglio. Una situazione che sarebbe peggiorata improvvisamente in agosto, “pochi mesi prima del prossimo raccolto”. “In una situazione dinamica e in evoluzione, è importante coordinarsi strettamente con tutti i partner, compreso il governo”, hanno detto al Wfp, aggiungendo che la decisione di cancellare il rapporto precedente è derivata “a seguito della richiesta del governo di condurre una revisione congiunta”. Una “revisione” che di fatto ha impedito alle organizzazioni internazionali di recarsi nella zona del conflitto, valutare oggettivamente la situazione e intervenire.
La nuova versione del rapporto, infatti, non è mai arrivata: l’inasprirsi delle violenze verso la minoranza Rohingya e la persecuzione di cui sono stati vittima ha reso impossibile presentare la situazione in modo “diplomatico”e “concordato”. Secondo quanto riportato da The Guardian, a far scoppiare lo scandalo sarebbero state le dichiarazioni di un consulente che ha lavorato con l’ufficio delle Nazioni Unite del Myanmar. Secondo la fonte,che ha chiesto di rimanere anonima, gli operatori dell’agenzia nel paese erano estremamente nervosi a causa dell’attenzione che aveva suscitato la relazione. Dalla valutazione, infatti, sarebbero dipesi gli aiuti concessi ai profughi: “Questo era il problema di cui si parlava dietro le quinte e ad un livello senior”, ha detto. “Sapevano che poteva danneggiare (la popolazione Rohingya, ndr.). Tutto riguardava il fatto che nel paese, esisteva la convinzione che la decisione di smettere di nutrire alcuni degli (sfollati interni, ndr.) poteva causare gravi danni ai cittadini, in termini di sicurezza alimentare e addirittura fame”. “Avevano cose da nascondere nel loro lavoro in Myanmar. Le cose che non avevano intenzione di fare lì”, ha aggiunto.
Una rivelazione che non poteva non scatenare polemiche e critiche.
La storia della persecuzione dei Rohingya in Myanmar non sembra avere fine. Dopo le mine antiuomo piazzate alla frontiera con il Bangladesh nei punti attraversati dalle famiglie dei Rohingya in fuga, dopo lo strazio delle uccisioni senza pietà di donne e bambini riportate da diversi media ora emerge che gli aiuti sarebbero stati ritardati a causa di un presunto accordo con le autorità governative. Un accordo che avrebbe dovuto privilegiare il rapporto con le autorità locali ben al di sopra delle semplici priorità umanitarie, e avrebbe fatto da calamita per attirare milioni di finanziamenti da donatori internazionali.
Il nocciolo della questione non sono solo i fondi da destinare o meno al paese orientale (e i danni di una minoranza etnica: in un distretto, Maungdaw, un terzo di tutte le famiglie viveva in condizioni di estrema privazione di cibo). Il problema principale è che un ente delle Nazioni Unite, il Wfp, pur sapendo cosa stava accadendo in Mynamar , ha preferito cedere alle pressioni del governo di non diffondere appieno la notizia. Una decisione che, di fatto, ha bloccato la concessione di aiuti umanitari per più di 225mila persone a Rakhine. Oggi, la questione “Rohingya” è presentato dalle Nazioni Unite come il più grave problema di persecuzione di una minoranza al mondo, e la negazione della cittadinanza da parte della maggioranza buddista complica il riconoscimento dei profughi in Bangladesh.
Interrogato sulla vicenda, il governo del Myanmar per il momento ha preferito rilasciare commenti.