Birmania. Si aggrava il bilancio delle proteste anti golpe: 557 i morti

Ma l'Ue dimentica: neppure Aung San Suu Kyi brilla per democrazia e rispetto dei diritti umani.

di Enrico Oliari

Continua ad aggravarsi il bilancio delle proteste contro il golpe militare in Birmania. Ai numerosi arresti e ai feriti nella repressione delle proteste si aggiunge un pesante numero delle vittime, che l’Associazione per l’assistenza ai prigionieri politici (Aapp) ha denunciato essere di 550.
Il culmine si è avuto una settimana fa, quando a Yangon la polizia ha sparato sui manifestanti uccidendo 114 persone, tra cui un bambino di 5 anni. Un fatto che ha portato il segretario di Stato Usa Antony Blinken a parlare di “regime del terrore”. Nelle proteste di ieri i morti sono stati 7.
La Aapp ha reso noto che ad oggi sono 2.751 le persone imprigionate, tra cui vi sono la leader politica Aung San Suu Kyi, diversi esponenti politici e persino il presidente della Repubblica dell’Unione del Myanmar Win Myint, arrestati nel momento in cui i militari hanno preso il potere.
Alle elezioni la Lega nazionale per la democrazia (Lnd) di Aung San Suu Kyi aveva stravinto conquistando 368 seggi al Parlamento, mentre l’Usdp (Union Solidarity and Development Party), una coalizione di 23 partiti sostenuta dai militari e guidata dal generale Than Htay, aveva preso solo 23 seggi. I militari hanno quindi denunciato brogli elettorali e il 1 febbraio hanno indetto un colpo di stato che ha portato alla guida del paese il generale Min Aung Hlaing, il quale ha dalla sua la Cina. Pechino infatti continua a bloccare le risoluzioni di condanna al Consiglio di Sicurezza dell’Onu dove ha diritto di veto, ritenendo quanto sta accadendo nel paese orientale un affare interno. In realtà sono molti i progetti strategici cinesi in Birmania, certamente più sicuri con un governo che non guarda a occidente. Stessa cosa la Russia, la quale ha interesse a che la Birmania non si trasformi in un avamposto degli Usa nell’area.
Per quando la comunicazione occidentale, anche europea, sembri avere la memoria corta, va comunque ricordato che neppure la pasionaria Aung San Suu Kyi brilli per spirito democratico e tutela dei diritti civili. Tant’è che lo scorso anno Heidi Hautala, vice presidente del Parlamento europeo e responsabile per la democrazia, ha comunicato la decisione di toglierle il Premio Sakharov, ottenuto nel 1990, in quanto “nella sua funzione di consigliere di Stato e ministro degli Esteri del Myanmar, non si è avvalsa delle posizioni da lei occupate per difendere e salvaguardare i diritti del popolo rohingya”, la minoranza etnica di fede islamica soggetta a una vera e propria pulizia etnica, privata dei documenti e costretta a rifugiarsi in condizioni precarie nei campi del confinante Bangladeh. Il genocidio dei rohingya, alimentato anche dai monaci buddisti e che ha comportato migliaia di vittime, è continuato in modo grave anche con la Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi di fatto a capo del paese.