di Armando Donninelli –
Il Partito d’Azione Democratica (SDA) è una formazione politica della Bosnia Erzegovina che, votata prevalentemente da musulmani, ha inciso enormemente nella storia del giovane paese balcanico.
Tale forza politica venne fondata il 26 maggio del 1990 da alcuni attivisti e intellettuali di fede islamica. Tra questi spiccava la figura di Alija Izetbegovic, avvocato e autore di importanti testi a carattere geopolitico e teologico, già imprigionato in passato dal regime comunista per le sue opinioni.
L’SDA, fin dall’inizio della sua vita, fu molto condizionato dalle idee di Itzbegovic il quale, fondamentalmente, desiderava una maggiore evidenziazione dell’Islam e dei suoi precetti nella sfera pubblica, ciò in netto contrasto con l’ateismo di stato della Jugoslavia.
Alle prime elezioni multipartitiche della Bosnia Erzegovina, ancora una repubblica federata nella Jugoslavia, l’SDA ottenne circa un terzo dei voti e divenne la prima forza politica.
Nel frattempo la Jugoslavia aveva iniziato il suo processo di dissolvimento. Nell’autunno del 1991, durante il congresso del partito il suo presidente, cioè Izetbegovic, avvertiva che dopo Slovenia e Croazia, disordini sarebbero potuti scoppiare anche in Bosnia Erzegovina. Nel dicembre del 1991 l’SDA, assieme all’HDZ che rappresentava i croati, chiese l’indipendenza.
Nonostante le minacce di Belgrado e la contrarietà della comunità serba, SDA e HDZ organizzarono un referendum sull’indipendenza della Bosnia Erzegovina. Il risultato fu ampiamente positivo per gli indipendentisti e, nel mese successivo, una buona parte della comunità internazionale riconobbe diplomaticamente e con dichiarazioni di supporto la creazione del nuovo stato indipendente.
Tuttavia già all’indomani del referendum si vide come le previsioni di Izetbegovic erano fondate. Iniziarono subito degli scontri violenti con la comunità serba, supportata da Belgrado, ciò degenerò in un duro conflitto armato che durò sino alla fine del 1995.
In quei drammatici anni il ruolo dell’SDA fu assolutamente centrale, utilizzò difatti le sue solide strutture organizzative per supplire alle carenze del nuovo e debole stato, sovrapponendo così una forza politica ad evanescenti istituzioni.
Il Parlamento della Bosnia Erzegovina era controllato in pieno dall’SDA, anche le relazioni internazionali erano gestite da tale forza politica, spesso con il supporto di diplomatici di carriera. Va comunque evidenziato che quest’ambito venne gestito con grande efficacia, difatti l’SDA riuscì a convogliare grandi quantità di denaro, armi, spesso provenienti da paesi islamici, che furono di fondamentale importanza nello svolgimento del conflitto.
Anche nell’ambito delle operazioni belliche il ruolo dell’SDA fu centrale, riuscì difatti ad assumere il controllo del giovane esercito, impedendo infiltrazioni esterne e riuscendo a determinarne l’orientamento politico. Per poter disporre di una maggiore agilità costituì proprie milizie, denominate Brigate Musulmane, che per un lungo periodo apparvero come unità regolari, a dimostrazione della profonda commistione tra stato e partito.
Il conflitto si concluse con gli Accordi di Dayton, consistenti nella creazione di una complessa struttura federale che avrebbe dovuto assicurare la governabilità di un contesto caratterizzato da una forte multi etnicità. Anche l’SDA diede la sua approvazione agli Accordi di Dayton, tuttavia, secondo Xavier Bougarel che è uno dei massimi esperti di Islam dei Balcani, la dirigenza di tale partito non credeva nella loro bontà ma li considerava invece come una tappa per giungere all’obbiettivo finale di uno stato abitato da soli musulmani.
Terminato il conflitto e d’innanzi all’enorme sfida della ricostruzione, l’SDA iniziò lentamente a perdere il suo ruolo di assoluto predominio nella rappresentanza dei musulmani del paese balcanico, vale a dire di circa la metà della popolazione complessiva.
Difatti Haris Silajdzic,una persona allora molto rispettata in patria e conosciuta all’estero per essere stato Ministro degli Esteri e Primo Ministro nel periodo della guerra, abbandona nel 1996 l’SDA per dissidi con Alija Izetbegovic e fonda il Partito per la Bosnia Erzegovina (SBiH). Alle elezioni di quell’anno, le prime nella storia del paese indipendente ottenne circa il 4% dei voti, certamente non molti ma ricevuti in base ad un programma elettorale basato sulla convivenza tra etnie. Ciò in netta contrapposizione con il forte nazionalismo, che a volte sfociava anche nel panislamismo, dell’SDA. Il partito di Silajdzic, continuando con il suo programma originario e polemizzando con l’SDA, ottenne il 12% dei voti alle elezioni del 2000.
Vi era poi la crescita elettorale dei Social Democratici (SDP), propugnatori anch’essi della pacifica convivenza, votati da membri di tutte le etnie, tra cui ovviamente anche i musulmani.
L’emergere di tali forze politiche aveva prodotto un dimezzamento dei voti dell’SDA rispetto alle elezioni i del 1996. Ciò, assieme all’uscita di scena di Alija Izetbegovic per motivi di salute, determinò un radicale cambiamento nel programma del partito. Nel terzo congresso di tale movimento, tenutosi nel 2001, vi fu l’abbandono del rigido nazionalismo e si definì come partito di centro aperto all’appoggio e alla tutela di tutti i cittadini, indistintamente.
Tale congresso è importante anche perché elesse come leader Sulejman Tihic, un uomo che entrò a far parte della Presidenza Collegiale del paese tra il 2002 e il 2006 e che rimase ai vertici del partito fino alla sua morte avvenuta nel 2014. Tihic era un profondo sostenitore del dialogo interetnico e lo favorì con la sua azione politica. Nel 2008 fu uno dei maggiori promotori degli Accordi di Prud che, stipulati tra le principali forze politiche rappresentanti le etnie del paese, avrebbero dovuto consentire la realizzazione di alcune riforme necessarie al proseguimento del processo di adesione alla UE appena iniziato.
Questo statista era anche un convinto europeista, orientò la forza politica di cui era leader verso l’adesione agli ideali europeisti, facendo passare in secondo piano le tendenze pan islamiste, retaggio della guerra e della leadership di Alija Izetbegovic. Coerentemente con tale impostazione favorì l’ingresso dell’SDA all’interno del Partito Popolare Europeo (PPE).
Gli equilibri all’interno dell’SDA iniziarono a cambiare nel 2010, anno in cui venne eletto alla Presidenza Collegiale del paese il figlio di Alija Izetbegovic, Bakir. Quest’ultimo aveva una visione strategica degli interessi del paese e dell’SDA meno basata sui rapporti con l’Europa e al tempo stesso maggiormente collegata con la Turchia governata dall’AKP di Erdogan. Il progressivo aggravarsi delle condizioni di salute di Tihic consentirono a Bakir Izetbegovic di far avanzare quest’impostazione all’interno dell’SDA. Quando nel 2014 Tihic morì Bakir Izetbegovic divenne il leader pressoché incontrastato del partito.
Va evidenziato che Bakir Izetbegovic è stato sempre molto chiaro nel cercare di fare la Turchia il riferimento dell’SDA e del paese. In ciò hanno un ruolo fondamentale gli stretti rapporti personali venutisi a creare tra Erdogan e Bakir Izetbegovic, basti pensare che nel 2014, dopo la vittoria di Erdogan alle elezioni presidenziali, Bakir Izetbegovic definì tale evento come una grande vittoria per tutti i bosniaci.
La Turchia guidata dall’AKP aveva già iniziato da tempo una seri di interventi diretti a rafforzare gli storici legami con la Bosnia Erzegovina, in particolare tramite la ristrutturazione di monumenti trascurati e risalenti al periodo del dominio ottomano. Tuttavia il pieno controllo di Bakir Izetbegovic dell’SDA, vale a dire del partito che maggiormente rappresenta i musulmani della Bosnia Erzegovina ed è molto spesso al governo, ha intensificato l’azione turca nel paese balcanico.
L’esempio più significativo è certamente dato dalla ricostruzione, finanziata da Ankara, della Moschea dell’Imperatore, la più grande ed antica di Sarajevo. Tale opera ed altre realizzate in seguito furono inaugurate con solenni cerimonie alla presenza di Erdogan, Bakir Izetbegovic e dei vertici dell’SDA, come per voler dimostrare pubblicamente una perfetta unità di intenti.
Va ricordato che l’SDA guidato da Bakir Izetbegovic ha favorito l’incremento delle relazioni anche con i ricchi paesi islamici del Golfo Persico, ma ciò si pone fondamentalmente come processo per ottenere vantaggi economici, privo di forti connotazioni politiche, a differenza che con la Turchia.
La crescita del ruolo della Turchia nel paese balcanico, come già detto fortemente favorito dall’attuale dirigenza dell’SDA, viene vista positivamente da buona parte dei musulmani del paese che vedono in Ankara un alleato e protettore. Ciò viene confermato da un sondaggio condotto nel 2017 dall’International Republic Institute.
A dimostrazione del sempre maggiore allineamento tra SDA e la Turchia guidata da Erdogan basti ricordare il viaggio fatto da quest’ultimo a Sarajevo nel settembre del 2022, con la Bosnia Erzegovina in piena campagna elettorale. In quell’occasione il politico turco, consapevole della sua popolarità tra l’elettorato musulmano del paese balcanico, non esitò ad aiutare il suo stretto alleato Bakir Izetbegovic nella ricerca di voti con dichiarazioni propagandistiche.
In quella visita, ingiustamente trascurata dai media internazionali, Erdogan fece delle affermazioni secondo cui i paesi occidentali puntavano a dividere e soggiogare i musulmani che, secondo lui, si sarebbero dovuti unire. Furono dichiarazioni gravi con cui Erdogan cercava di strumentalizzare le idee pan islamiste presenti nell’SDA e che con la leadership di Bakir Izetbegovic hanno iniziato lentamente ma inesorabilmente a riprendere forza.
Le elezioni del 2022 hanno confermato l’SDA come principale forza politica del paese, tuttavia una composita coalizione di otto partiti filo europeisti ha determinato la sua estromissione dal potere. Tuttavia, anche se all’opposizione, questo partito che è rimasto sotto la guida di Bakir Izetbegovic sembra voler continuare nelle sue precedenti politiche che, al di là di quelle che sono le concilianti dichiarazioni ufficiali, si concretizzano in una sostanziale tiepidezza nei confronti della UE e dei paesi occidentali.