Brexit. Il governo di May approva la bozza tra malumori e dimissioni

Congelata “all’italiana” la questione del confine con l’ìIrlanda del Nord.

di Elisabetta Corsi

A Theresa May ci sono volute 5 ore di pesante dibattito per far approvare nella compagine di governo la sua bozza del piano per la Brexit, definita dopo un estenuante lavoro a Bruxelles e con ancora lo scoglio del Parlamento da superare. La riunione dei ministri deve essere stata un campo di battaglia con tanto di vittime, tanto che da subito si sono dimessi in segno di protesta Shailesh Lakhman Vara, segretario di Stato del governo May per l’Irlanda del Nord, il ministro britannico per la Brexit Raab, il quale ha comunicato che “Non posso sostenere l’accordo con l’Ue”, e il ministro del Lavoro Ester McVey.
La premier ha voluto assicurare il governo sul fatto che il Regno Unito si riprenderà il controllo dei suoi confini, del suo denaro e delle sue leggi, vi saranno la fine della libera circolazione delle persone, la protezione dei posti di lavoro, la sicurezza e “la nostra unione”. Ha anche dichiarato al termine della discussione che “Quello che ho fatto per questo paese è prendere una decisione nell’interesse nazionale e credo fermamente, con il mio cuore e la mia testa, che questo accordo è nell’interesse di tutto il Regno Unito”.
Lo scoglio insormontabile della frontiera con l’Irlanda è rimasto lì, congelato, questione rinviata sine die in quella che alcuni organici stampa hanno definito “una soluzione all’italiana”. La bozza di May infatti fa restare l’unione doganale e il mercato unico per il periodo di transizione ed è protesa ad evitare la reintroduzione dei confini forti tra Irlanda del Nord e l’Irlanda. Questo eviterà possibili confini fisici anche nel caso in cui non venisse raggiunto l’accordo tra il Regno Unito e l’Unione Europea sulle future relazioni commerciali e sul problema dei confini, se non verrà individuato alcun accordo, scatterà il Backstop di salvaguardia. L’Irlanda del Nord rimarrà nel mercato unico e il Regno Unito si troverà ancora in una unione doganale con l’Ue anche se si auspica per un breve periodo e cioè che sia una soluzione temporanea, sebbene i meno ingenui sappiano che probabilmente rimarrà in vigore anche dopo il periodo di transizione di 21 mesi.
Resta quindi insoluto il nodo del confine dell’Irlanda del Nord per la sua complicatezza, dal momento che da un lato la partecipazione dell’Irlanda e della Gran Bretagna al contesto unitario europeo ha sopito il conflitto dell’Ulster, dall’altro un confine “senza infrastrutture di frontiera fisiche né posti di frontiera” rappresenterebbe una valvola attraverso la quale passerebbero persone (già oggi 30mila al giorno) e merci senza controlli e quindi senza dazi: che senso avrebbe la Brexit nel momento in cui agli esportatori diretti da e all’Ue basterebbe recarsi in Irlanda per portare le merci in e dalla Gran Bretagna?
Non è stata una vittoria facile e scontata quella ottenuta da Theresa May, anche perché molti esponenti del Governo sostenitori di una Had Brexit sono rimasti contrari alla manovra e hanno votato contro, dal momento che, a loro dire, sussiste il rischio che il Regno Unito rimanga troppo tempo sotto le regole dell’Unione Europea, magari anche per anni, non ottenendo la libertà che ci si era prefissati.
La strada per un taglio definitivo con Bruxelles è ancora lunga, non si ferma all’approvazione di di ieri nonostante sia stato un decisivo passo in avanti; il piano consta 585 pagine e ora attende la pubblicazione da parte dell’Ue: dovrà essere discusso dal summit dei 27 paesi membri che dovrebbe tenersi il 25 novembre, ed infine la battaglia dovrà essere vinta anche in parlamento, in particolare alla Camera dei Comuni che si dovrebbe riunire il 7 dicembre e dove la premier può contare su un esiguo stato di voti sui “no Brexit”.
Il piano prevede anche una salvaguardia dei diritti sia per le persone provenienti da paesi Ue che studiano, lavorano e in ogni caso vivono nel Regno Unito ma anche per i britannici che sono emigrati in paesi Ue, mentre il costo del divorzio, cioè il denaro che la Gran Bretagna deve versare all’Ue per i progetti in piedi fino al 2020 è stato stimato e sottoscritto in 39 miliardi di sterline, cioè in oltre 44 miliardi di euro.