Brexit. Legge per evitare l’uscita senza accordo

di Elisabetta Corsi –

Il rinvio lungo della Brexit è diventato legge. L’iniziativa è partita dall’esponente laburista Yvette Cooper per scongiurare definitivamente, o così si spera, un’uscita disastrosa della Gran Bretagna dall’Ue senza accordo, ed è passata per un solo voto con 313 favorevoli e 312 contrari. Una volta approvata alla Camera dei Lord la legge, obbligherà la premier Theresa May a chiedere un rinvio più lungo a Bruxelles (potrebbe anche essere di 9 mesi), un’estensione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona in caso di non raggiunto accordo per un nuovo piano e concede il potere al Parlamento di scegliere la lunghezza di questo ritardo. Un allungamento dei tempi che potrebbe comportare nuove elezioni generali o un improbabile secondo referendum. Ma in definitiva spetta all’Unione Europea concedere o meno questa proroga, soprattutto in quanto aveva già fatto sapere che senza accordo, entro il 12 aprile, non avrebbe accordato nessun rinvio.
Tramite un portavoce il governo britannico ha espresso “delusione”: “La premier – si legge in una nota – ha già definito un processo chiaro con cui possiamo lasciare l’Ue con un accordo, siamo già impegnati a chiedere un nuovo rinvio”; ha quindi criticato il carattere vincolante della proposta. Il governo infatti si sente gravemente limitato nella sua capacità di negoziare questa estensione prima del 12 aprile, data entro la quale il Regno Unito deve presentare un nuovo piano e farlo accettare dall’Ue oppure uscirne senza accordo. Anche i più convinti Brexiters hanno accolto con rabbia la proposta definendola uno scandalo costituzionale. Questa ipotesi non esclude l’obbligo di partecipare alle elezioni europee, da più parti considerate come un tradimento e un ulteriore danno.
Nel frattempo continua il dialogo tra Theresa May e Jeremy Corbyn, descritto come costruttivo ma criticato da entrambi i partiti. Corbyn ha fatto sapere che è stato un incontro costruttivo ma comunque inconcludente. In ogni caso continueranno i tentativi di negoziato tra i due leader, anche se difficoltosi, ma la potenziale intesa potrebbe portare al mercato unico, unione doganale come chiesto da Corbyn ma allo stesso tempo la fine della libera circolazione delle persone e l’esclusione di un nuovo referendum, come richiesto da Theresa May; ovviamente tutte decisioni che poi dovranno essere sottoposte all’Ue per essere approvate.
Sul secondo referendum non c’è coesione all’interno dei laburisti: se Corbyn e i suoi fedelissimi vogliono ricorrere a una seconda consultazione solo in caso di “brutto accordo” o rischio di No Deal, i ministri del governo ombra Keir Starmer e Emily Thornberry chiedono un secondo referendum in ogni caso, anche se si trovasse un accordo tra May e Corbyn.
Il governo ha perso due ulteriori pezzi: si sono dimessi due sottosegretari “junior”, Chris Heaton-Harris del ministero per la Brexit e Nigel Adams per il dicastero del Galles. Una nuova rottura in un momento in cui il governo sembrava più coeso e l’emorragia contenuta.