Brexit. Marasma a 20 giorni dal No Deal

Johnson non vuole l'accordo, né la revoca, né l'estensione. Tusk, 'quo vadis?'.

di Guido Keller –

Dopo la giornata burrascosa di ieri, si è aperto a Bruxelles uno spiraglio circa la possibilità di derogare nuovamente il termine ultimo per l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue. Un’eventualità alla quale il premier britannico Boris Johnson si è detto più volte contrario, nonostante una recentissima legge obblighi il governo ad una Brexit ordinata e quindi con accordo. Certo è che se le posizioni non cambiano, se ognuna delle due parti rimane sulla sua, lo spettro del “No Deal”, cioè dell’uscita senza accordo, si fa sempre più in carne ed ossa, ma se è palese che tale possibilità possa non dispiacere a Johnson, nel suo governo è pronta l’insurrezione per i costi e le conseguenze che il No Deal comporterebbe. Sono ben cinque i ministri che hanno oggi fatto sapere l’intenzione di lasciare in caso di uscita senza accordo: si tratta del segretario alla Cultura Nicky Morgan, del ministro britannico per l’Irlanda del Nord Julian Smith, del ministro di Giustizia Robert Buckland, del ministro della Sanità Matt Hancock e del procuratore generale Geoffrey Cox.
L’argomento di massima frizione resta il “Backstop”, cioè la questione del confine nord irlandese, che in molti vorrebbero tenere aperto; la cosa rappresenterebbe una valvola attraverso la quale passerebbero persone (già oggi 30mila al giorno) e merci senza controlli: che senso avrebbe la Brexit nel momento in cui agli esportatori diretti da e all’Ue basterebbe recarsi in Irlanda per portare le merci in e dalla Gran Bretagna? C’è poi la questione unionista: l’essere sia l’Irlanda che la Gran Bretagna nella stessa Unione Europea ha di fatto posto fine alla lotta armata dell’Ira come pure ai numerosi attentati terroristici operati dai sostenitori dell’uscita dell’Irlanda del Nord per l’annessione alla Repubblica d’Irlanda.
Johnson nei giorni scorsi ha proposto un piano pirandelliano che vede per l’Irlanda del Nord un’uscita dall’Ue e dall’Unione doganale ritardata alla fine del processo di transizione, cioè a fine 2021, mentre per i prodotti agricoli ed industriali non vi sarebbe dogana per 4 anni.
Una proposta inaccettabile per il premier irlandese Leo Varadkar, il quale ieri ha osservato che sarà “molto difficile” per il Regno Unito e l’Unione Europea raggiungere un accordo sulla Brexit entro la scadenza del 31 ottobre prossimo in quanto persistono “grandi divari” tra le due parti.
Ma la mazzata è arrivata con la telefonata di Johnson alla cancelliera tedesca Angela Merkel, un colloquio volto a fare il punto della situazione ma che si è concluso con le urla di “proposta inaccettabile” emesse da Downing street, da dove si è fatto sapere che “il premier ha spiegato che il Regno Unito ha fatto quella che riteniamo sia un’offerta importante ma se dovremo fare altri passi in avanti allora l’Ue dovrà scendere a compromessi”. Non sono noti i dettagli della telefonata, ma è certo che Merkel si è mostrata irremovibile circa la proposta di accordo stabilita a suo tempo con la premier britannica precedente, Theresa May, anche perché si trattava di un lavoro enorme, che aveva richiesto parecchi mesi per la stesura.
Anche la Commissione europea ha fatto sapere ieri attraverso la portavoce Mina Andreeva che “La posizione dell’Unione Europea sulla Brexit non è cambiata”, “Vogliamo un accordo e stiamo lavorando per questo, ma non accetteremo mai che si possa indebolire l’accordo del Venerdì Santo”, cioè quello sull’Irlanda del Nord.
Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha poi accusato Johnson di essersi dato a “uno stupido scaricabarile”, dal momento che il punto “non è chi vince”, bensì “il futuro dell’Europa e del Regno Unito, così come la sicurezza e gli interessi del nostro popolo”. Poi, rivolgendosi a al premier britannico ha chiesto: “Non vuoi un accordo, non vuoi un’estensione, non vuoi una revoca, quo vadis?
Un quadro tutt’altro che semplice, a soli 20 giorni dal No Deal.

Donald Tusk.