Brexit. Un milione di remain scendono in strada a Londra per un nuovo referendum

di Guido Keller

O via l’articolo 50 o nuovo referendum: in un milione si sono riversati oggi nelle strade di Londra paralizzando la metropoli per protestare contro la Brexit. Si tratta del popolo del “remain”, ma anche dei moltissimi che ci hanno ripensato denunciando di essere stati traditi dalla propaganda dei “leave”, e così dalla marea di bandiere blu sfociata in Parliament Square spiccavano i molti cartelli ironici, “Fromage not Farage”, “Eu-turn”, l’esorcista “Brexorcist”, “Help!” con i volti dei leader europei.
I sondaggi danno loro ragione: se si ripetesse oggi il referendum la vittoria del “remain” sarebbe schiacciante, da più parti la Brexit viene vista come un salto nel vuoto, senza sicurezze e con il rischio che i capitali lascino l’isola, come già sta succedendo.
Accanto alla manifestazione vi è anche il dato della raccolta di firme per una petizione contro la Brexit da inviare al Parlamento: in pochi giorni hanno sottoscritto il documento in ben 4 milioni di persone.
Slittato il termine ultimo del 29 di marzo e dopo le due sonore bocciature alla Camera dei Comuni delle proposte di accordo, la premier Theresa May è riuscita ad ottenere da Bruxelles una deroga all’articolo 50 del Trattato di Lisbona e quindi a procrastinare il termine ultimo per evitare il “no deal”, cioè l’uscita senza accordo, al 7 di maggio, prima delle europee. Tuttavia le possibilità che un nuovo piano di accordo con l’Ue trovi l’approvazione della Camera dei Comuni sono piuttosto basse, e ciò preoccupa i britannici che oggi hanno invaso Londra per chiedere un nuovo referendum.
I piani presentati dalla May continuano a trovare il fuoco incrociato dei partiti: gli scogli continuano ad essere quelli del confine nord irlandese, il Backstop, e lo status dei cittadini europei residenti in Gran Bretagna.
Se il secondo tema è una condicio sine qua non posta dall’Unione Europea, quella del confine tra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord resta una questione su cui non sembra trovarsi soluzione, basti pensare che da un lato la partecipazione dell’Irlanda e della Gran Bretagna al contesto unitario europeo ha sopito il conflitto dell’Ulster, dall’altro l’idea presentata a suo tempo da May di un confine “senza infrastrutture di frontiera fisiche né posti di frontiera” rappresenterebbe una valvola attraverso la quale passerebbero persone (già oggi 30mila al giorno) e merci senza controlli e quindi senza dazi: che senso avrebbe la Brexit nel momento in cui agli esportatori diretti da e all’Ue basterebbe recarsi in Irlanda per portare le merci in e dalla Gran Bretagna?
Intanto la gente comune vede le agenzie europee e le grandi aziende lasciare il paese, mentre un’uscita dall’Ue senza accordi comporterebbe dazi ed aumento del costo della vita.